L’Europa e l’utopia di una Patria comune

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L’Europa e l’utopia di una Patria comune

30 Marzo 2007

Nel vertice di Berlino del 25 marzo per i 50 anni dei Trattati di Roma il pezzo forte della cerimonia è stato il varo della cosiddetta “Dichiarazione di Berlino” faticosamente messa a punto da Angela Merkel nella sua veste di presidente di turno del Consiglio europeo. “Siamo uniti nell’obiettivo comune di rinnovare, prima delle elezioni del Parlamento europeo del 2009, le fondamenta comuni dell’Unione”, si legge nel passaggio-chiave della “Dichiarazione” con esplicito riferimento alla bocciatura del progetto di Trattato costituzionale, due anni fa, con il “no” nei referendum da parte dell’elettorato francese ed olandese, due dei sei paesi fondatori della Comunità economica europea.

Le difficoltà quindi cominciano adesso, anzi, a giugno, quando verrà convocata una Conferenza intergovernativa per decidere quali siano le opzioni migliori. Lo scenario è di un’Unione che faticherà molto a risolvere il rebus all’orizzonte del 2009. Peraltro un’Europa a 27 ha bisogno tanto di un’identità quanto di una sistemazione costituzionale. Nella nuova strada intrapresa per far ripartire il processo riformatore, l’esito positivo non è affatto scontato. Paesi come la Polonia, la Repubblica ceca e l’europeista Olanda, considerano “morto” il progetto e sono addirittura riusciti ad ottenere che la parola Costituzione non figurasse nella “Dichiarazione di Berlino”. Il pasticcio di questo allargamento sfilacciato, che è stata la via scelta dai vertici degli Stati europei, non aiuterà a raggiungere molto. Non solo, la geografia politica europea è ulteriormente complicata dal fatto che ancora sussiste un ampio spazio in cui si affrontano interessi nazionali. Conclusi i riti celebrativi, c’è una preoccupante realtà che certamente i premier Ue non ignorano: in questi 50 anni, l’Europa ha compiuto passi avanti realizzando enormi conquiste (la libera circolazione di merci e persone, l’euro, il mercato unificato ecc..), ma oggi, causa i successivi allargamenti ai nuovi Stati, essa appare ingovernabile e scarsamente credibile sul piano internazionale – si è divisa per esempio sulla guerra in Iraq – a dispetto del suo peso economico.

A misura che l’Unione si completa e si rafforza, per far bene servono le stesse cose di cui abbiamo più bisogno in patria: senso dello Stato; solide strutture sociali, economiche e amministrative; legalità; mercato; democrazia, ecc.. Ma, innanzitutto, nell’elenco delle sfide, che deve affrontare, c’è da preservare il valore dell’identità e il senso della responsabilità sociale. Il senso di appartenenza ad una comunità Europea è importante, senza questo collante il sistema fatica a produrre ciò di cui ha bisogno: il rispetto spontaneo delle istituzioni che fanno funzionare la vita associata; il senso della storia comune da cui viene la fiducia in un futuro di sviluppo. Oggi c’è grande bisogno di ritrovare e far ritrovare senso al nostro vivere insieme all’interno delle nostre comunità, le tante comunità che compongono questa nostra Europa, con i suoi popoli e le sue culture, ma che devono trovare in esso la loro sintesi. Ci sono appuntamenti importanti, a casa nostra e nel mondo con cui dobbiamo misurarci da subito e nei prossimi anni, ma la coesione sociale e la condivisione di alcuni grandi valori sono beni preziosi di cui non ci possiamo privare, come la nostra identità e le radici cristiane.

Nella nuova temperie secolarizzatrice che si è aperta con il XIX secolo, l’Europa fatica a mantenere la propria identità nella sfida dei tempi e a definire la sua identità a fronte delle altre culture religiose e laiche che si impongono nel mondo moderno. Non siamo ancora al ritorno del martirio in odium fidei, ma l’eliminazione delle radici cristiane dal Trattato Ue, nel continente sede storica per eccellenza del Cristianesimo, appare l’esito estremo della sostituzione tentata nell’età contemporanea del principio di unificazione e identità sociale rappresentato dalla religione. D’improvviso in molti luoghi d’Europa si sono ricreate le condizioni con cui duemila anni prima l’annuncio cristiano aveva dovuto fare i conti: vale a dire un potere politico radicalmente ostile, esplicitamente orientato all’ateismo, a cancellare il retaggio cristiano dalla propria società e disposto a procedere, in vista di tali obiettivi, alle più dure persecuzioni. Quale coraggio del futuro può nascere se la memoria e le radici sono tagliate, se non sentiamo il bisogno costante di valutare la tradizione che abbiamo alle spalle, se non impariamo dal nostro passato come possiamo evitare errori nel futuro?

Alla vigilia dei 50 anni dei Trattati di Roma Benedetto XVI, ricevendo i vescovi europei a Roma riuniti per la stessa occasione, ha parlato della necessità di “un’Europa capace di ritrovare i suoi valori, la fiducia in se stessi, l’ambizione prioritaria di servire la realizzazione e la felicità degli europei piuttosto che l’ambizione di creare un gigante economico e burocratico”. Il Papa ha invitato i governi dell’Unione a “edificare un’autentica casa comune europea non trascurando l’identità propria dei popoli di questo nostro Continente. Si tratta di un’identità storica, culturale e morale, prima ancora che geografica, economica o politica; un’identità costituita da un insieme di valori universali, che il Cristianesimo ha contribuito a forgiare, acquisendo così un ruolo non soltanto storico, ma fondativo nei confronti dell’Europa. Non si può escludere un elemento essenziale dell’identità europea qual è il Cristianesimo, in cui vasta maggioranza  dei cittadini continua a identificarsi”. Per Benedetto XVI “una comunità che si costruisce senza rispettare l’autentica dignità dell’essere umano, dimenticando che ogni persona è creata a immagine di Dio, finisce per non fare il bene di nessuno”. “Non c’è l’obbligo di essere cristiani per praticare questi valori”, ricorda il Pontefice, “questi valori di matrice cristiana sono il nocciolo duro, fondatore, dell’Europa, senza questi non c’è più nulla”.

God Bless Europa, Dio benedica l’Europa. In questa frase caratteristica del corretto rapporto tra la religione e la vita pubblica americana, c’è la sostanza della democrazia oltreoceano: là, Dio c’entra con la vita pubblica della nazione. Negli Usa altri illuministi e cristiani costruirono un rapporto tra società e stato, dove la sussidiarietà e la società, insieme alla religione, sono il perno della democrazia.

Abbiamo molto bisogno di Europa. Il popolo in gran parte c’è, è la classe dirigente che in parte manca e in materia continua ad esercitarsi in operazioni di cosmesi politica che però lasciano tutto come prima. L’Europa è pacificata e riunificata, ma della patria comune per la verità è in parte ancora astrazione, se non addirittura pia illusione.