L’Europa è troppo vicina ai cittadini, questo è il problema

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L’Europa è troppo vicina ai cittadini, questo è il problema

16 Giugno 2008

Europa sì, Europa no? Magari la risposta giusta è: Europa se. Perché dalla dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 alla firma del Trattato di Lisbona del 2007, passando per le tappe di Maastricht e Nizza, siamo talmente imbevuti di parole e pratiche europee, che è ormai quasi impossibile essere netti, e la contrapposizione favorevoli-contrari probabilmente non rappresenta più un’alternativa utile. Tanto da risultare ormai addirittura stucchevole. L’Europa è. Punto. E’ parte – lo si voglia o meno – di ciascun paese dall’Atlantico ai Balcani, come ciascun paese del gruppo dei 27 è parte dell’Europa.

Ecco però allora il senso del voto referendario irlandese sul compromesso di Lisbona, sonoramente bocciato dai cittadini chiamati alle urne. L’Europa è e sarà veramente se stessa, solo se saprà cogliere e mettere a frutto le opportunità del XXI secolo. Senza drammi, né spinte ideologiche, perché tanto l’euroscetticismo radicale quanto l’europeismo di maniera stanno avendo risvolti deleteri, e i dibattiti attorno agli stessi si stanno dimostrando sostanzialmente vuoti e improduttivi. Alle cancellerie nazionali degli ultimi cinquant’anni ha fatto difetto nella costruzione dell’integrazione comunitaria una delle virtù alla base dello spirito europeo, il pragmatismo. Ciò che risulta quantomeno singolare per chi vive sulle spalle di giganti, da Nicolò Machiavelli a Benedetto Croce, da Otto Von Bismarck a Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi, Robert Schuman, Paul Henri Spaak. Personaggi che avevano dell’idealismo – e dell’idea di Europa – una visione pragmatica.

Chi l’ha detto che la crisi deriva dall’eccessiva distanza dell’Europa da popoli e cittadini? Semmai è vero esattamente il contrario. L’Europa è in crisi, come idea e come unione di stati, perché troppo vicina ai suoi quasi 500 milioni di abitanti. Perché l’equivicinanza ha tentato di appiattire le differenze, sgretolando le identità e i sentimenti nazionali, e mettendo alla berlina lo stato-nazione in favore di traballanti, e non meglio precisati, movimenti popolari di osmosi transnazionale. Quando negli uffici di Bruxelles si vuole metter mano a tutto, legiferare su ogni aspetto della vita quotidiana, dalla lingua blu delle pecore sarde alle normative di concorrenza nel settore del trasporto, è lì che si genera lo scollamento. Il cittadino percepisce solamente l’alienazione della burocratja sovietizzante e per contro l’incapacità di creare un solido humus comune, e si ribella con le armi che ha. Humus che non nasce per partenogenesi. Ma sorge e fruttifica su una base valoriale, che l’eccessiva contiguità idee-istituzioni-popolo ha contribuito e contribuisce a distruggere. Gli irlandesi hanno capito benissimo cosa si chiedeva loro, e così olandesi e francesi nel 2005. Per questo hanno votato no. Altro che difetti di comunicazione e problemi di linguaggio. L’eurocratese è l’unico linguaggio che questa Europa conosca, l’unico linguaggio che a questa Europa si addice. Chi distribuisce patenti d’intelligenza per un voto “non capito” (o “radicato e voluto” quando invece il vento è a favore) dimostra solamente una sufficienza saccente, e sottintende un’ignoranza altrui, cui però non fa mostra di voler – eventualmente – porre rimedio. 

E allora Europa sarà se i suoi rappresentanti e le sue istituzioni riusciranno a volare alto, a “dare la linea”. In sostanza, a procedere veramente verso la creazione di una solida unione politica, che nella sua fase finale altro non potrà essere che gli Stati Uniti d’Europa. Un federalismo verso l’alto, per cui al centro sarà demandato il macro necessario: la rappresentanza a livello internazionale, la politica monetaria (quella vera), il mantenimento di diritti fondamentali e doveri condivisi, la creazione di un sistema valoriale finalmente comune, basato tanto sulle radici razionali quanto su quelle cristiane. Lasciando ai singoli stati la gestione del micro indispensabile. Altrimenti sempre Europa sarà – perché un aquis minimo già esiste – se sapremo fondare una unione economica e doganale finalmente strutturata, in cui conoscenze, merci, capitali possano circolare liberi davvero, e l’euro costituisca l’unica moneta di scambio. 

E’ il guado melmoso di oggi, che i cittadini europei non tollerano più. Sono i mezzi compromessi, il parolaio ipocrita, le elucubrazioni sui sistemi di voto, i fardelli – e i faldoni – burocratici, che non vogliono più. E non possono volere. E’ un’Europa pragmatica che stanno indicando di voler scegliere. Quella delle decisioni. Che non può che avere un imprinting forte dall’alto, in grado di tracciare una rotta, qualunque essa sia. Purchè sia. Dopo Olanda e Francia, anche l’Irlanda ha dato un segnale. Forse allora che la storia dei processi governati dal basso sia tutta fuffa?