L’Europa ha fame di “metalli rari”. Il problema è che si trovano in Cina

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L’Europa ha fame di “metalli rari”. Il problema è che si trovano in Cina

21 Giugno 2010

Mentre in questi giorni ci stiamo rovinando il fegato per la non brillante prestazione della Nazionale, sollevati soltanto dalla farsa che si sta svolgendo in casa dei nostri non amati cugini transalpini, è sfuggito agli occhi dei più il segnale di allarme che arriva da Bruxelles a proposito del controllo mondiale dei materiali vitali per lo sviluppo delle tecnologie avanzate. Telefonini, fibre ottiche, batterie, pannelli solari, leghe particolari, per citare solo alcuni dei prodotti più diffusi e tecnologicamente avanzati, dipendono, per la loro fabbricazione, dalla disponibilità di metalli rari come le terre rare, il gallio, il germanio, il litio, il niobio e così via.

Ora il problema è che la stragrande maggioranza di questi prodotti vitali per i prodotti di alta tecnologia è reperibile nel sottosuolo di un numero ridotto di paesi, in primis la Cina. La Commissione Europea ha pubblicato un rapporto nel quale pone l’accento sul “rischio a venire” per quattordici elementi, definiti critici, la cui estrazione è concentrata in larghissima maggioranza in soli otto paesi con la Cina baciata dalla fortuna. Infatti il suo sottosuolo contiene, rispetto alle risorse mondiali, il 95% di terre rare (elemento base per le nanotecnologie, le lampade a basso consumo, i motori ibridi), lo 87% di antimonio (usato per i semiconduttori), lo 84% di tungsteno (necessario nelle leghe avanzate), lo 83% di gallio (base delle celle fotovoltaiche), 79% di germanio (base delle fibre ottiche), il 60% di indio (usato nelle celle fotovoltaiche) ed il 51% di fluorina (elemento base nella metallurgia).

Con queste percentuali la Cina schiaccia gli altri sette fortunati, USA, Russia, Repubblica Democratica del Congo, Cile, Brasile, Sud Africa e Australia caratterizzati ciascuno dalla presenza di un solo materiale critico; nell’ordine: molibdeno 60% ( semiconduttori), palladio 60% (catalizzatori), cobalto 36% (pile a combustibile), litio 60% (batterie), niobio 90% (resistenza delle leghe metalliche), platino 77%, (svariate applicazioni), titanio 42% (svariate applicazioni). La situazione poi riveste aspetti ancora più preoccupanti: da una parte il Governo di Pechino è divenuto da tempo un grande consumatore di questi preziosi elementi a causa della sua corsa violenta verso lo sviluppo tecnologico e la competizione con Russia, Giappone e per ultimi gli USA. Dall’altra parte l’Europa è totalmente dipendente in termini di importazione perché priva della maggioranza di questi prodotti di base e con l’aggravante che non possiede nemmeno una delle dieci maggiori aziende minerarie mondiali che gestiscono l’estrazioni di questi minerali.

La situazione è divenuta ancora più delicata perché il Governo cinese, dai primi di giugno, ha nazionalizzato tutta l’attività estrattiva di questi materiali critici adducendo la scusa che apparentemente l’estrazione delle terre rare avveniva in maniera fraudolenta. In effetti, l’idea che circola nei mercati è semplicemente quella di avere il controllo completo delle risorse e, quindi, di poter negoziare il prezzo più alto possibile nel mercato internazionale. Se saranno mantenuti gli attuali tassi di crescita dei consumi a livello mondiale, i rischi si cominceranno a fare sentire entro i prossimi venti anni; per questo i paesi più accorti, come gli USA, hanno messo in opera stock strategici per coprire i bisogni della loro industria, e in primis evidentemente quella della difesa.

E l’Europa? Allo stato, mentre si discute del Campionato del Mondo di calcio e si lanciano severi programmi di tagli alle spese statali per cercare di contenere la crisi economica regalataci dagli gnomi della finanza mondiale, affronta il problema come può. In assenza di risorse interne, e sperando che gli accordi di approvvigionamento coi paesi produttori siano mantenuti ed onorati nel tempo, si studiano politiche per intensificare gli sforzi di recupero e di riciclaggio dei materiali critici. L’immagine che ne deriva è un poco quella dei clochards che cernono la spazzatura alla ricerca di un minimo per sopravvivere: fotografia non bella e poco rassicurante per il futuro dei nostri figli.

D’altronde i numeri parlano chiaro e non fanno presagire nulla di buono. Un esempio per tutti: nel 2006 sono state estratte 152 tonnellate di gallio nel mondo a fronte di una richiesta di 28 tonnellate per realizzazioni di alta tecnologia. A sviluppo costante, business as usual come si dice in gergo, nel 2030 la domanda si eleverà a 603 tonnellate, quattro volte la produzione attuale. Siamo sicuri che gli accordi di approvvigionamento dei paesi più oculati saranno ancora rispettati? O si applicherà la legge brutale del mercato, vince chi più pagherà più caro? E la Cina, che ne produce lo 83% , avrà realmente voglia di condividerlo con altri paesi o ne avrà bisogno per sostenere il proprio sviluppo?

Nel frattempo i paesi più svegli si attrezzano e lanciano campagne di prospezione in regioni del mondo geologicamente ancora inesplorate. O poco esplorate. Non a caso un gruppo di geologi statunitensi, coordinati dal Pentagono, hanno recentemente scoperto enormi giacimenti nel sottosuolo afgano: oro, rame e litio; tanto litio da farli parlare di “un’Arabia Saudita del Litio”. Il tutto stimato cautelativamente ad un valore di oltre mille miliardi di dollari, come ha riportato lunedì il New York Times. Tutto non è perduto, forse, e come per il petrolio la fame aguzza l’ingegno e si cercheranno nuove risorse fino allo spasimo. C’è solo da capire: noi europei in questo gioco strategico che faremo? Continueremo ad accapigliarci sulle quote latte o ci beeremo dell’applicazione del trattato di Lisbona, morto prima ancora di essere sottoscritto? Io non la vedo bella la situazione, nemmeno se la Nazionale riuscisse a scapolare verso gli ottavi di finale grazie al fattore C…., visto come stanno giocando!