L’Europa non può affrontare la Cina solo parlando di diritti umani

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L’Europa non può affrontare la Cina solo parlando di diritti umani

29 Maggio 2009

Il 20 maggio scorso si è tenuto a Praga l’undicesimo summit tra l’Unione europea e la Cina, riaprendo il dialogo tra Pechino e Bruxelles dopo che l’ultimo incontro – in programma lo scorso dicembre a Lione – era stato annullato dai cinesi irritati per la visita del Dalai Lama al presidente Sarkozy. Argomenti di discussione dell’incontro di Praga sono stati la lotta al protezionismo come reazione alla crisi economica e l’impegno congiunto nella creazione di energie pulite, in vista della Conferenza dell’Onu sul clima che si terrà a Copenaghen il prossimo dicembre.

Nei giorni precedenti, Human Rights Watch aveva invitato i leader europei a utilizzare il summit per fare pressioni sulla Cina affinché rispetti i suoi obblighi internazionali in materia di diritti umani. La situazione dei diritti umani in Cina sarebbe peggiorata nel corso degli ultimi anni, in special modo riguardo ai diritti dei tibetani; la detenzione di Liu Xiaobo, il più importante dissidente politico cinese e le intimidazioni rivolte ai familiari delle vittime del terremoto nel Sichuan, che chiedono un’inchiesta per l’accertamento delle responsabilità nella vicenda, sono due degli esempi fatti da HRW.

Secondo Sophie Richardson, il responsabile per l’Asia dell’associazione, la Cina non sarà mai un buon partner per l’UE finché non s’impegnerà a rispettare i diritti dell’uomo. Negli stessi giorni, alcune comunità tibetane chiedevano all’Ue di premere su Pechino per salvaguardare i diritti dei tibetani.

Nessuna delle richieste sembra essere stata accolta dai leader europei. A Praga, la discussione si è concentrata esclusivamente su questioni economiche. I leader del Vecchio Continente e il primo ministro cinese Wen Jiabao hanno firmato tre importanti accordi di cooperazione per lo sviluppo di energie pulite, la cooperazione scientifica e tecnologica e la cooperazione tra piccole e medie imprese.

A giudicare dal tono della discussione, gli europei non avevano alcun vantaggio a sollevare il tema dei diritti umani. Wen Jiabao, dopo aver affermato che le relazioni sino-europee rivestono un’importanza strategica per la Cina, ha tenuto a sottolineare che "nella cooperazione bisogna seguire il principio del rispetto reciproco e di non ingerenza negli affari altrui, tener conto degli interessi fondamentali del partner e trattare in maniera opportuna le questioni sensibili" e che "le relazioni bilaterali non devono essere colpite da incidenti individuali".

Poi il leader cinese è passato alle richieste. La UE dovrebbe riconoscere lo statuto di economia di mercato della Cina, togliere l’embargo sulle armi e allentare i limiti imposti all’esportazione di prodotti di alta tecnologia verso la Repubblica Popolare. In cambio, Pechino promette di aumentare le importazioni di prodotti europei.

Mentre si fa un gran parlare delle violazioni dei diritti umani in Cina si presta poca attenzione al lungo cammino intrapreso da questo Paese verso la democrazia. L’anno scorso, il governo cinese ha pubblicato un libro bianco sulla democrazia, dove afferma di "riconoscere l’aspirazione di tutti i popoli, e dunque anche di quello cinese, alla libertà e alla democrazia". L’aspirazione dei leader cinesi sarebbe la stessa che anima i loro partner occidentali. Il disaccordo invece riguarda la modalità e i tempi con cui l’obiettivo ‘democratico’ potrà e dovrà essere raggiunto.

Il governo cinese chiede alla comunità internazionale di riconoscere i progressi che sono stati fatti negli ultimi anni e che i principi democratici come li intendiamo in Occidente possono essere introdotti solo gradualmente per evitare traumi in una società ancora sulla strada dello sviluppo. È quanto emerge dalle parole di Zhang Yi, Vicesegretario generale della China Society for strategy  and Management: "Abbiamo bisogno della comprensione e dell’incoraggiamento del mondo, e abbiamo anche bisogno di fiducia, stiamo procedendo nella direzione giusta. E’ questo il libro bianco. Non siamo fondamentalisti, siamo gente pragmatica".

Ma anche la questione dei diritti umani fa parte di questa costruzione democratica ed escluderla per non compromettere qualche vantaggioso accordo commerciale sarebbe un errore. Serve quindi un dialogo produttivo, incoraggiando la transizione cinese verso la democrazia. Parliamo di un Paese che, più di qualunque altro, sta investendo nell’economia e che, secondo alcuni economisti, può addirittura fare da traino alla ripresa mondiale.

Dall’anno scorso gli USA hanno cancellato la Cina dalla "lista nera" dei paesi responsabili delle più gravi violazioni dei diritti umani. Il segretario di Stato Hillary Clinton ha ribadito che la questione non deve essere un ostacolo alla collaborazione economica tra la Cina e gli USA. Nessun accenno al problema durante l’ultima visita del segretario di stato a Pechino nel febbraio scorso.

E la Russia non sta a guardare. Il premier Medvedev, nel corso dell’incontro Russia-Ue tenutosi lo scorso 23 maggio a Khabarovsk, ha annunciato di voler realizzare un progetto energetico congiunto con la Cina in Estremo Oriente. Mentre i leader mondiali fanno di tutto per guadagnarsi le simpatie dei cinesi, che altro avrebbero potuto fare i leader europei se non tacere sulla questione dei diritti umani?  In fondo i vari Paesi dell’Unione non hanno neppure una posizione comune a riguardo. Ma il problema si riproporrà necessariamente al momento della revisione dell’accordo di partenariato e cooperazione Cina-Ue (ACP).

Firmato nell’85, l’accordo non include la “clausola democratica”, inserita in ogni accordo commerciale firmato dall’UE con paesi terzi, e che prevede la possibilità per l’Unione di sospendere l’accordo qualora il partner compia delle violazioni dei diritti umani. Cina ed Europa hanno comunque previsto di inserire la clausola alla prossima revisione dell’accordo (su cui si sta negoziando dal 2007). Nel frattempo, nell’aprile scorso, la Cina ha elaborato una propria Dichiarazione dei diritti dell’uomo. Vedremo se e come cambierà la situazione dei diritti umani nel Paese.

Alcuni analisti si chiedono, provocatoriamente, se l’evoluzione della Repubblica popolare cinese in "Repubblica Liberaldemocratica" cinese sia davvero una soluzione auspicabile per il mondo occidentale. In che modo si potrà fronteggiare l’ascesa mondiale della Cina, se le democrazie occidentali non saranno più in grado di "tirarle la coda" con le lezioni sui diritti umani?