L’Europa non si lasci attirare dalle sirene del deficit spending
17 Maggio 2012
La situazione della crisi europea ha raggiunto negli ultimi giorni il suo momento più drammatico. Per la prima volta, dopo anni nei quali gli ottimisti sono stati di gran lunga superiori agli euroscettici, si ha l’impressione che l’Unione Europea possa aver iniziato il suo percorso di disgregazione.
L’opzione dell’uscita della Grecia dall’Euro è sul tavolo ed ottiene un numero sempre crescente di consensi. Dopo aver truccato i conti pubblici per avere i parametri di finanza pubblica in ordine, dopo aver subito il tracollo della propria economia, dopo manovre lacrime e sangue che hanno impoverito enormemente il Paese, dopo il caos delle ultime elezioni e l’incapacità di formare un nuovo governo, la Grecia sta probabilmente pensando al suo addio all’Euroclub. Un matrimonio, quello con l’Euro, che sta finendo in modo disastroso e che ha dimostrato come il Paese ellenico avrebbe fatto meglio a starsene fuori sin dall’inizio. Un matrimonio costato ai partner europei, due tranches di finanziamenti internazionali approvati, nel tentativo di dare liquidità alle disastrate finanze di Atene, e che sono evaporati senza sortire alcun effetto positivo.
L’effetto avvitamento ha colpito nel modo più cruento, anche a causa delle assurde pretese avanzate al governo di Atene dagli altri partner europei, Germania in testa, che hanno completamente sbagliato strategia, credendo che somministrando una cura dimagrante a un malato anoressico potesse avere effetto. L’effetto lo si è avuto, quello di un tracollo del Pil e dell’aumento del tasso di povertà. Adesso, la cancelliera Merkel, un’anatra zoppa il cui destino politico sembra ormai segnato, e Hollande, il nuovo presidente francese che si è fatto portavoce, a livello europeo, dell’antirigorismo tedesco e del neo-socialismo economico, si sono augurati, nel loro primo vertice bilaterale, che la Grecia possa rimanere nell’Euro, senza che nessuno sia in grado di capire il perché questo debba avvenire e, soprattutto, con quali risorse finanziarie.
Negli ultimi giorni, i cittadini greci hanno cominciato a recarsi alle banche per ritirare tutti i loro depositi, 700 milioni di euro prelevati in un giorno, quello che in economia si chiama ‘la corsa agli sportelli’, perché temono che un ritorno alla dracma possa svalutare i loro risparmi. Un’azione collettiva che esacerba maggiormente la situazione già drammatica del Paese ed alimenta sempre più il panico, se si pensa che l’esito di una corsa agli sportelli è una velocizzazione dell’azione, in cui tutti hanno l’interesse a ritirare il prima possibile, prima che la propria banca possa rimanere senza soldi.
La crisi greca ha già fatto sentire i suoi effetti negativi sugli altri paesi europei, ma negli ultimi giorni, gli effetti di questo contagio stanno aggravandosi notevolmente. I mercati finanziari sono stati investiti da una ondata di vendite e hanno bruciato in un giorno 120 miliardi di euro. Gli spread di Italia e Spagna sono saliti vertiginosamente, quelli italiani hanno toccato la soglia dei 470 basis points e quelli spagnoli hanno superato quella dei 500, nuovo record storico dall’introduzione dell’Euro. In questo scenario, l’Europa si ritrova con un rischio finanziario continentale notevolmente aumentato, cui deve far fronte con un aumento dei rendimenti promessi sui titoli di Stato e che si riflettono inesorabilmente sulla componente in conto interessi e quindi sui saldi di bilancio.
Prima che alcuni investitori istituzionali decidano di non investire più nei titoli di questi Stati, per effetto delle loro politiche d’investimento che impediscono ai propri fund managers di investire in titoli il cui rischio supera una certa soglia. Se gli spread dovessero rimanere ai livelli degli ultimi giorni, l’Italia non riuscirebbe a raggiungere il suo obiettivo di pareggio di bilancio, con conseguente rischio di una nuova manovra correttiva. La situazione spagnola è anch’essa molto delicata e il premier spagnolo Rajoy è pienamente cosciente di come per la Spagna non sarebbe sostenibile un livello di spread pari a quello attuale. Il governo di Madrid vede messo in serio pericolo il suo rapporto deficit-Pil obiettivo, pari al 5,3 per cento per il 2012. Anche il Regno Unito freme per la paura di un contagio, dal momento che la City londinese rappresenta l’hub finanziario europeo più importante. La speranza di Londra è che la Grecia possa uscire al più presto dall’Euro. Via il dente via il dolore, insomma.
La crisi di questi giorni sta avendo delle ovvie ripercussioni anche sul rapporto di cambio euro-dollaro, sceso al di sotto della soglia dell’1,27. Questa notizia, tuttavia, non rappresenta necessariamente un male, in quanto la diminuzione potrebbe contribuire ad incrementare le esportazioni europee oltreoceano.
Con un vento politico europeo che soffia decisamente a sinistra, verso il modello socialista stile Hollande, l’Unione Europea non deve comunque cedere alle lusinghe dei paesi che vorrebbero abbandonare le politiche di rigore e tornare alle politiche di spesa, che della crisi sono la vera causa. Allentare le rigide regole del fiscal compact è auspicabile, non pretendere il raggiungimento del pareggio del bilancio a tutti i costi è ragionevole, per poter dar fiato alle economie nazionali, ma cedere sulle regole fiscali sarebbe un madornale errore che l’Europa non si può permettere. La Germania ha dimostrato che i conti in ordine rappresentano un viatico per la crescita. Farsi attrarre nuovamente dalle sirene keynesiane del deficit spending, sarebbe invece la definitiva condanna per la finanza pubblica europea. A quel punto, la Grecia potrebbe non essere più l’unica candidata all’Euroexit.