L’Europa punti su piccole e medie imprese per crescita e occupazione
14 Ottobre 2013
Vorrei aprire il mio intervento con un riconoscimento: molto è stato fatto per affermare l’importanza delle PMI per l’Unione europea da quando, nel 1993, il Libro Bianco della Commissione Delors ne riconobbe per la prima volta il ruolo peculiare all’interno della economia europea. Va dato atto alla Commissione in carica e, segnatamente, al Vicepresidente Tajani di aver costruito negli ultimi anni una strategia di intervento coerente per le PMI e di aver apprestato, sia sul piano legislativo sia su quello non legislativo, alcune misure concrete per promuoverne la crescita. Tuttavia, molto resta ancora da fare, a livello europeo come a livello nazionale, per adeguare l’ambiente regolamentare e soprattutto il contesto economico e finanziario in modo da favorire la piccola e media impresa.
A mio avviso l’approccio europeo verso le PMI sconta due grandi difetti strutturali. Il primo risiede nella convinzione – ancora radicata nelle Istituzioni europee e nazionali – per cui le PMI sono un segmento particolare e tutto sommato secondario del sistema produttivo europeo, per il quale si possono prevedere alcune misure speciali o derogatorie nel quadro di politiche e normative pensate per la grande impresa. È questa l’impressione che ho condiviso con autorevoli osservatori negli Stati membri, nel Parlamento europeo o nel mondo accademico, quando nel dicembre 2011 l’Autorità bancaria europea impose una gravosa ricapitalizzazione alle banche, soprattutto italiane e spagnole, ignorando il gravissimo impatto che questa avrebbe avuto – ed ha avuto – sull’erogazione del credito alle PMI, già ampiamente ridotto. Oppure quando la Commissione ha presentato le proposte relative all’attuazione dell’accordo di Basilea 3 sui requisiti patrimoniali delle banche, e sugli appalti, nell’ambito delle quali le specificità delle PMI ai fini dell’accesso al credito o della partecipazione ai bandi di gara sono state clamorosamente ignorate o considerate come un’eccezione meritevole di previsioni di portata limitata.
Chi ha voluto seguire questa impostazione, a livello politico o amministrativo, è entrato chiaramente in contraddizione con la linea affermata dalle Istituzioni europee e riassunta nello slogan “pensare in piccolo”, ma soprattutto ha voluto e continua a ignorare che le PMI sono la spina dorsale dell’economia europea. Consentitemi di ribadire che, secondo i dati della Commissione europea, le PMI rappresentano più del 98% di tutte le imprese dell’UE (circa 20,7 milioni di imprese) con oltre 87 milioni di dipendenti. Il 92,2% delle PMI è rappresentato poi da microimprese con meno di 10 dipendenti. Le PMI rappresentano il 67% dell’occupazione totale e il 58% del valore aggiunto lordo. In un Paese come l’Italia le PMI sono addirittura il 99,9%, pari al 68,3% del valore economico aggiunto e all’80,3% dell’occupazione nel settore privato non finanziario. Gli studi più recenti dimostrano che le nuove PMI (quelle nate negli ultimi cinque anni) hanno contribuito nonostante la crisi alla creazione della maggior parte dei nuovi posti di lavoro, soprattutto nei servizi, ma anche nei trasporti e nelle comunicazioni.
A fronte di questi dati nessuno può continuare a considerare le PMI come un “settore speciale” dell’economia: occorre che esse siano poste al centro di una reale politica industriale europea e di tutte le politiche e le norme dell’Unione che hanno rilievo per la crescita e l’occupazione. Il secondo difetto strutturale consiste nell’assenza a livello europeo di una reale strategia per la crescita e di una politica industriale, avendo l’UE sinora privilegiato il consolidamento delle finanze pubbliche. Le PMI, in quanto parte predominante del nostro sistema produttivo e in quanto più esposte ad alcuni effetti della crisi, sono state le vittime principali di questo approccio unidimensionale. Per superare concretamente questi due elementi di debolezza – nel breve e nel medio termine – sono a mio avviso necessari una serie di interventi a livello europeo e nazionale in quattro ambiti.
Il primo consiste nel superamento della crisi di liquidità delle PMI che ne mette a repentaglio la sopravvivenza stessa. In Paesi come l’Italia e la Spagna – in cui le imprese sono fortemente dipendenti dal credito bancario – il problema è duplice: da una parte, si è ridotto drammaticamente l’accesso al credito per la gran parte delle PMI; dall’altra, persino le PMI con un minore tasso di rischio che ottengono il credito sono costrette a corrispondere un premio di interesse del 2-3% rispetto a quelle di altri Stati membri. Questa situazione è il frutto dei gravi ritardi accumulati dalla Unione nelle risposte da dare alla crisi e soprattutto dalla mancata o tardiva adozione delle misure, concordate oltre un anno fa, per ripristinare la stabilità e il buon funzionamento del sistema bancario e, più in generale, per consolidare le finanze pubbliche e ridurre le tensioni sul mercato del debito sovrano.
Le PMI stanno pagando a caro prezzo – più degli altri attori del sistema produttivo e finanziario – le tattiche dilatorie che alcuni Stati membri, per ragioni di politica interna o per la difesa di interessi nazionali, hanno portato avanti per ritardare la possibilità che il “Meccanismo di stabilizzazione” sostenga direttamente le banche in crisi; per indebolire il nuovo sistema di vigilanza bancaria unificata e nel tentativo di impedire la creazione di un fondo unico di risoluzione delle crisi. Una rapida applicazione di questi strumenti avrebbe consentito una ripresa dell’erogazione del credito da parte delle banche, fornendo a breve termine la liquidità necessaria alle PMI per proseguire nei processi di ammodernamento ed innovazione necessari a competere a livello globale.
Indubbiamente la soluzione a medio e lungo termine – come sottolineato più volte dalla Commissione europea – è quella di ridurre la dipendenza delle PMI dal canale bancario, sviluppando il venture capital, fornendo nuovi strumenti di finanziamento, a partire da quelli offerti dalla Banca europea degli investimenti. Credo che le proposte presentate dalla Commissione al riguardo vadano approvate rapidamente, prima della fine della prossima legislatura europea, evitando i ritardi ingiustificati che richiamavo in precedenza.
Un secondo intervento prioritario riguarda la semplificazione del quadro regolamentare europeo e nazionale. Non voglio disconoscere i significativi progressi realizzati in questo ambito di attuazione dello Small Business Act e delle altre iniziative per la semplificazione della Commissione europea. Tuttavia, è innegabile che la legislazione europea e quelle nazionali restino troppo complesse e intricate e prevedano oneri eccessivi per le PMI. Persino l’individuazione e il reperimento della normativa applicabile – nella banche dati dell’UE e in quelle nazionali – risultano difficili e controverse.
Ammetto, come parlamentare nazionale, la corresponsabilità dell’Italia e di altri Stati membri nell’aver dato seguito solo in parte alle raccomandazioni specifiche per i vari Paesi, adottate in esito al semestre europeo 2012 e 2013, che richiedevano una forte semplificazione della normativa nazionale. Credo tuttavia che una drastica semplificazione debba partire dal legislatore europeo: in particolare, è necessario procedere, sul modello di quanto già convenuto nel settore dei mercati finanziari, alla predisposizione di Single Rulebook chiari ed essenziali, che sostituiscano integralmente la disciplina nazionale (salve deroghe eccezionali per situazioni particolari di singoli Stati membri). Va invece evitato il ricorso nella direttive a clausole di “armonizzazione minima” che consentono al legislatore nazionale di introdurre oneri e vincoli ulteriori rispetto alla normativa europea, favorendo il cosiddetto Gold plating. In Italia abbiamo dovuto introdurre allo scopo un divieto espresso di Gold plating nella recente legge sulla partecipazione dell’Italia all’UE.
Una terza priorità a breve termine concerne la predisposizione degli strumenti di programmazione dei Fondi strutturali per il periodo 2014-2020 che possono integrare gli interventi a sostegno delle PMI già previsti all’interno dei nuovi Programmi COSME (per la competitività delle imprese e delle PMI) ed Orizzonte 2020 (in tema di ricerca e sviluppo tecnologico). Occorre, per un verso, stabilire obiettivi tematici e programmi operativi volti specificamente a promuovere la piccola e media impresa, soprattutto nelle aree in ritardo di sviluppo, anche ai fini della creazione di nuovi posti di lavoro; per altro verso, va agevolato l’accesso delle PMI alle opportunità di finanziamento previste dai programmi operativi.
Non sostengo l’idea – dimostratasi fallimentare nell’esperienza delle passate programmazioni – di disperdere le risorse disponibili in mille obiettivi microsettoriali, per favorirne una distribuzione a pioggia tra il massimo numero possibile dei beneficiari. Credo invece che, nel quadro della concentrazione degli stanziamenti su poche priorità ad alto valore aggiunto, vada sempre tenuto in considerazione che le PMI rappresentano il volano dell’economia europea ed hanno un elevatissimo potenziale di crescita. Un problema che va superato è anche quello della disponibilità di una manodopera qualificata: ricordo che più della metà dei responsabili di PMI lamentano di avere problemi di reclutamento del personale e scarsa libertà nell’assumere e nel licenziare. In alcuni Stati membri, sembra mancare un numero significativo di lavoratori appartenenti a determinate categorie professionali. Grazie ai fondi strutturali occorre infine valorizzare quelle esperienze che vanno nella direzione della efficienza energetica e del risparmio energetico, da una parte, e dell’utilizzo delle nuove tecnologie come l’e-commerce per fare business, dall’altra.
Il quarto intervento prioritario attiene alla internazionalizzazione delle PMI, da distinguere ovviamente da quello dannoso della delocalizzazione. La crisi economica ha confermato quanto numerosi studi avevano dimostrato: le attività internazionali rafforzano la crescita, migliorano la competitività e incentivano le innovazioni di prodotto o di processo, favorendo la sostenibilità a lungo termine delle PMI. È sufficiente ricordare come numerosi PMI italiane e di altri Stati membri abbiano saputo rispondere alla crisi compensando il crollo della domanda intraeuropea con l’aumento delle esportazioni verso i mercati emergenti.
Tuttavia, le PMI europee dipendono ancora in misura eccessiva dai loro mercati nazionali: solo il 26% di esse lavora fuori dallo Stato di origine, ed appena il 13% fuori dall’UE! I Paesi membri della Ue debbono dunque collaborare maggiormente per rimuovere i principali ostacoli alla internazionalizzazione delle PMI: una scarsa conoscenza dei mercati stranieri, le tariffe di importazione nei Paesi di destinazione, la mancanza di capitali. Anche in questo caso va dato atto alla Commissione di aver promosso iniziative rilevanti, quali la creazione in India e in Cina di “business centres” europei per aiutare le PMI europee ad accedere ai mercati locali, o l’avvio del dialogo politico con Cina e Russia, con i Paesi del partenariato mediterraneo e di quello orientale. Occorre tuttavia estendere queste iniziative e strumenti presso tutti principali partner mondiali.
In conclusione, voglio ribadire che, al di là degli interventi urgenti che ho sopra richiamato, è necessario un mutamento culturale profondo nelle nostre Istituzioni: al di là degli slogan è fondamentale che i decisori pubblici riconoscano la rilevanza della PMI nella realtà economica. Attraverso le PMI passa infatti la capacità dell’economia europea di ricominciare a crescere stabilmente nello scenario post-crisi.
(Intervento dell’On. Paolo Tancredi, vicepresidente della Commissione Politiche Comunitarie presso la Camera dei Deputati, al "Meeting of the Network of National Parliamentarians charged with European Affairs and Members of the EPP in the European Parliament" che si è svolto il 14 ottobre presso il Parlamento Europeo a Bruxelles)