L’Europa si affida alla Russia ma la sua sicurezza energetica è a rischio
27 Dicembre 2008
In molti forse si aspettano che nel 2009 l’Europa e la Russia riusciranno a diversificare strategicamente le proprie linee di rifornimento in ambito energetico. Eppure in concreto si è realizzato ancora ben poco.
Tra i progetti allo studio c’è il gasdotto russo-tedesco Nord Stream (noto anche come NEP – North European Pipeline), al di sotto del Mar Baltico, da Vyborg, vicino San Pietroburgo a Greifswald, nella costa nord-orientale della Germania. Con Nord Stream la Russia vedrebbe realizzare il suo sogno: ridurre la dipendenza dai paesi di transito pieni di insidie e difficoltà, come l’Ucraina. Secondo i piani, il gasdotto avrebbe dovuto essere completato nei prossimi mesi per poi fornire gas entro il 2010. Ma ad oggi la sua costruzione non è neppure iniziata.
Accanto a questo si colloca un altro progetto russo, in collaborazione con la compagnia italiana ENI, per la costruzione di South Stream, un gasdotto che dovrebbe passare sotto il Mar Nero. L’obiettivo è collegare la Russia alla Bulgaria, evitando le costose tasse di transito imposte dalla Turchia.
Anche l’Unione europea ha il suo progetto per un gasdotto: il Nabucco. Annunciato sei anni fa come una soluzione che avrebbe permesso di ridurre la dipendenza dell’Europa dal gas russo, la sua costruzione avrebbe dovuto concludersi, in base alle previsioni, entro il 2009. Ancora però non è stato collocato alcun condotto. Nel frattempo, la dipendenza dalle importazioni russe, che già forniscono il 42% della richiesta energetica europea, sembra destinata a crescere.
Sia la Russia che l’Ue hanno ideato progetti tanto ambiziosi spinte dalla convinzione di un vantaggio reciproco: gli europei hanno bisogno del gas dei russi, che a loro volta non possono fare a meno dei ricchi mercati dell’Europa. Le risorse energetiche del Mare del Nord, che rappresentano la maggiore fonte di gas europeo, stanno diminuendo rapidamente. E nonostante le continue esortazioni da parte dell’Ue per una diversificazione che assicuri una maggiore sicurezza energetica, gli europei continuano a guardare soprattutto alla Russia come risorsa principale per il proprio fabbisogno. Le previsioni indicano un ulteriore aumento di 200 miliardi di metri cubi all’anno entro il 2030 nel consumo di gas all’interno del blocco dei 27, rispetto agli attuali livelli di circa 300 miliardi di metri cubi. Ma molte incognite gravano sulla Russia. Il timore è che Mosca non sia in grado di soddisfare una richiesta di tale portata. I campi russi nella Siberia occidentale sono quasi esauriti: e, come accennato, la costruzione del Nord Stream e del South Stream (così come del Nabucco) sta registrando un forte ritardo – e non e’ detto che tali gasdotti aggiungeranno effettivamente una nuova capacità di estrazione.
Gli ultimi scenari delineati da Eurogas, l’organizzazione che riunisce le principali imprese europee del gas, non lasciano dormire sonni tranquilli. La quota del gas sul totale dei consumi di energia UE è prevista in costante salita dal 24% attuale al 30% entro il 2030, che in termini assoluti significa una previsione di consumo di gas al 2030 di circa 620-630 milioni di Tep (Tonnellata equivalente di petrolio). Solo per coprire il delta dei consumi l’industria del gas dovrà reperire forniture aggiuntive per 180-200 milioni di Tep. In più dovrà tamponare il calo della produzione interna. E così, nel complesso, la dipendenza dell’UE a 27 da approvvigionamenti esterni potrebbe passare dal 41% al 74%, con un vincolo infrastrutturale che, allo stato dei progetti in corso di realizzazione, diventerà stringente a partire dal 2015.
Senza dubbio la crisi economica in atto, con la sua estensione globale, rappresenta una delle cause che hanno contribuito a ritardare i tempi previsti. Il prezzo del petrolio, cui è strettamente collegato quello del gas, è crollato da un picco di 140 dollari al barile nell’estate scorsa a circa 40 dollari al barile nell’ultimo mese. Questo ha reso le compagnie energetiche assolutamente più caute negli investimenti a lungo-termine e nei progetti con grande impiego di capitale.
I tre gasdotti presentano poi ciascuno le proprie specifiche problematiche. Il Nord Stream non ha ancora ottenuto il permesso progettuale da parte di tutti i paesi che si affacciano sul Mar Baltico. La crisi economica significa anche che le banche, quelle tedesche in particolare, non avranno certo fretta di finanziare il gasdotto russo-tedesco, vista la cifra non indifferente di 7.4 miliardi di dollari da sborsare per sostenere i suoi costi – o addirittura di 10.3 miliardi, considerando i lavori offshore.
L’unica cosa certa finora è che i tubi in acciaio destinati alle condutture del Nord Stream sono stati già ordinati. L’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder, ora a capo del comitato di azionisti del Nord Stream, è andato stringendo rapporti sempre più stretti con il primo ministro russo Vladimir Putin, ed è particolarmente intenzionato a portare avanti il progetto in questione.
E sebbene proprio Putin abbia avvertito il mese scorso che il Nord Stream potrebbe essere abbandonato nel caso in cui gli Europei non gli conferiscano un adeguato supporto politico, molti esperti nel campo energetico hanno ipotizzato che il ministro russo stesse bleffando. Borut Grgic, direttore dell’istituto di Studi Strategici di Ljubljana, in Slovenia, ha tenuto a precisare che è proprio Putin a volere il Nord Stream “per legare le esportazioni di energia russa all’Europa”. Del resto anche le compagnie tedesche – BASF/Wintershall e E.ON Ruhrgas – che si sono accordate con Gazprom per la costruzione del Nord Stream, non sono pronte ad abbandonare la nave.
D’altro canto anche il South Stream ha i suoi problemi. Questa settimana la Serbia ha firmato un accordo per unirsi al progetto con Gazprom – dopo un anno di rinvii e tentennamenti. Ma nel frattempo altri paesi, teoricamente coinvolti nella costruzione del gasdotto, hanno sollevato alcune obiezioni: prima tra tutti la Bulgaria, il cui inviato speciale di governo Mihaly Bayer alla domanda sulla data di chiusura del progetto da 10 miliardi di dollari ha risposto in modo piuttosto enigmatico: “Esistono ancora numerosi accordi intergovernativi che devono essere completati”. Persino Alexei Miller, il capo del comitato esecutivo di Gazprom, ha recentemente dichiarato che il South Stream non sarà pronto prima del 2015.
Rimangono da considerare le incognite del progetto da 7.9 miliardi di dollari dell’Unione europea. Il Nabucco dovrebbe prelevare il gas dall’Azerbaijan e anche dall’Iran, ma è rimasto indietro rispetto ai tempi previsti di circa 3 anni. Grgic è convinto che l’Europa abbia rivelato il progetto in questione prima di disporre dei produttori necessari a riempire le condutture”. E se “non ci sono fonti di energia garantite, non ci sono mercati. E senza mercati, non si otterrà alcun finanziamento”. Ma proprio la scorsa settimana il consorzio direttivo del Nabucco si è affrettato a smentire simili voci, con un comunicato che rassicura sulla volontà degli istituti finanziari di concentrarsi sui progetti di infrastrutture a lungo-termine proprio come il Nabucco.
Ma qualunque sia la sorte di questi tre progetti, né singolarmente né congiuntamente potranno mai soddisfare la crescente domanda di gas da parte dell’Europa. Il gas che passerà attraverso queste nuove condutture per la maggior parte sarà lo stesso gas che al momento raggiunge il mercato europeo per altre vie, quali ad esempio l’Ucraina e alcuni stati dell’Asia centrale.
La vera ragione per cui le possibilità di ottenere gas nuovo dalla Russia sono così limitate è che sono venuti a mancare investimenti reali in questo settore. Anche quando il prezzo di gas e petrolio era ad alti livelli, non sono stati raccolti i frutti per modernizzare le infrastrutture o per introdurre nuove misure di risparmio energetico. Gazprom si è piuttosto concentrata sull’acquisto di nuovi impianti in Asia centrale e nei Balcani, comprando i giornali e costruendo uffici alla moda.
Quasi coprendosi gli occhi davanti a tutto ciò, l’Europa ha rifiutato di ricercare fonti alternative di approvvigionamento. Avrebbe potuto, ad esempio, impegnarsi nel sostegno alla ricostruzione del settore energetico in Iraq; oppure prestare una maggiore attenzione all’Azerbaijan e a tutte le sue risorse; o ancora concentrarsi nel risparmio e nel supporto alle energie rinnovabili. Ora con la crisi economica tutto sembra complicarsi ulteriormente e, in assenza di valide alternative, un destino di debolezza e instabilità appare già scritto.