L’ex guerrigliera erede di Lula vola alto verso la presidenza del Brasile

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L’ex guerrigliera erede di Lula vola alto verso la presidenza del Brasile

04 Ottobre 2010

Quella di ieri in Brasile è stata l’elezione in cui, per la prima volta da quando è tornata la democrazia nel 1985, non comparirà tra i nomi dei candidati in lizza alla presidenza quello di Luiz Inacio Lula da Silva. Il presidente del miracolo economico brasiliano ha esaurito infatti i due mandati previsti dalla Costituzione e non è più rieleggibile. Ma questo non gli ha impedito di determinare una continuità politica al suo mandato, indicando apertamente il suo sostegno al “delfino”, Dilma Rousseff, già capo di gabinetto del Partito dei Lavoratori e fortemente avanti nei sondaggi.

Ieri, 136 milioni di elettori brasiliani sono stati chiamati alle urne per determinare le più alte cariche del potere legislativo ed esecutivo: il prossimo presidente, i deputati federali e statali, i governatori dei 26 stati brasiliani e i due terzi dei membri del Senato. La sfida presidenziale è da molti mesi che si annuncia senza grandi sorprese. Secondo i principali quotidiani, la Rousseff gode di percentuali molto vicine al 50 per cento, smarcandosi dagli altri concorrenti di oltre 20 punti percentuali. I suoi più temibili avversari, il social-democratico José Serra e la verde Marina Silva, secondo i sondaggi oscillano intorno al 28 e al 14 per cento rispettivamente, puntano almeno a portarla al ballottaggio. L’unica vera incognita del voto è in realtà se l’esponente socialista otterrà la maggioranza sufficiente per evitare di andare il secondo turno.

Ex guerrigliera di origini bulgare, classe ’47, la Rousseff ha molte chance di seguire l’esempio dell’Argentina e della Germania e diventare la prima donna presidente del più popoloso paese del Sudamerica. Esperta economista e politico navigato, in gioventù partecipò alla lotta armata contro la dittatura militare brasiliana (1964-1985), trascorrendo quasi tre anni in prigione, tra il 1970 e il 1972, dove venne torturata con scariche elettriche e appesa sottosopra per ore. Per conquistare il cuore (e il voto) dei brasiliani però l’esponente del Partido dos Trabalhadores è dovuta scendere a compromessi con la sua immagine limando quell’immagine dura e troppo seria che la allontanava dal gradimento di certe fasce di elettori. I consulenti le hanno fatto mettere le lenti a contatto al posto degli occhiali, qualche ritocchino per eliminare i segni dell’età, abiti più coloriti e attillati per mostrare le generose curve, in bocca un vocabolario meno complicato e voilà: la Rousseff è riuscita finalmente a ingraziarsi quasi il 50 per cento dei votanti. Basti pensare che a ottobre del 2008 solo l’8,4 per cento della popolazione era intenzionato a votarla e nel 2009 il numero era cresciuto al 14%. Negli ultimi mesi, invece, la candidata socialista sfiora la maggioranza dopo aver recuperato i voti nel Sud e nel Sudest così come nella fascia di elettori tra i 35 e i 59 anni.

Ma non è stata solo questione di estetica. Forte dell’appoggio e la visibilità offerta da Lula – che negli ultimi mesi ha fatto più comizi elettorali che non in occasione della sua rielezione nel 2006 – la Rousseff ha fatto le mosse giuste per conquistare definitivamente i brasiliani. Venerdì scorso l’aspirante presidente ha difeso a spada tratta la coalizione tra il suo partito e le diverse formazioni di area conservatrice che appoggiano il governo di Lula. L’ultimo colpo di reni della Rousseff è stato quello di ingraziarsi gli ambienti religiosi, tanto cattolici quanto evangelici, ribadendo tra l’altro la sua contrarietà alla legalizzazione dell’aborto. Non per nulla, in un articolo di pochi giorni fa, anche il Washington Post ha appoggiato l’elezione della “delfina” di Lula e il Guardian l’ha definita “l’ultimo miracolo” del presidente uscente. Ma è il suo passato a conferirle un’aurea speciale per la sua lotta contro la dittatura e a favore della democrazia.

Per di più, la candidata del Partido dos Trabalhadores è riuscita a uscire indenne dagli scandali di corruzione che hanno travolto i vertici del partito nel 2005 e quelli più recenti legati a una sua stretta collaboratrice. Comunque vada, se non dovesse riuscire a ottenere ma maggioranza al primo turno il ballottaggio sarebbe solo una formalità poiché, con ogni probabilità, i consensi a favore della terza classificata, la candidata verde Marina Silva, confluirebbero in massima parte sulla “lady di ferro” originaria del Minas, anziché sul moderato José Serra.

Quest’ultimo è l’avversario più diretto dell’erede di Lula. L’ex governatore socialdemocratico dello Stato di San Paolo, Josè Serra, secondo i sondaggi otterrebbe appena la metà dei gradimenti che dovrebbe avere la Roussef. Nonostante ciò, si dice convinto di riuscire a ribaltare l’esito in caso di un secondo turno. “Lunedì non riposeremo. Fino a novembre nessuno avrà una pausa” ha detto ai suoi militanti invitandoli a lottare fino all’ultimo voto. Figlio di emigranti italiani, ex leader studentesco esiliato durante la dittatura militare, è il candidato del PSDB socialdemocratico alle presidenziali in Brasile e, nonostante sia un politico con convinzioni di sinistra, rappresenta oggi l’unica alternativa di centrodestra alla continuità del governo di sinistra del Partido dos Trabalhadores. Già sconfitto da Lula nel 2002, il socialdemocratico ha approfittato dell’appuntamento organizzato venerdì scorso dall’emittente “Globo tv” per ribadire le promesse fatte in campagna elettorale. Tra queste, aumenti sostanziali del salario minimo e delle pensioni.

In pole position, poi, ci sono altri due nomi: l’ambientalista Marina Silva – ed ex ministro dell’Ambiente di Lula – (che non otterrà molto più del 14 per cento dei voti) e Plínio Soares de Arruda Sampaio, l’ottantenne candidato del Partido socialismo e liberdade (Psol) che, nonostante una campagna elettorale coraggiosa, non riuscirà a ottenere percentuali di voto significative.

Nelle elezioni di quest’anno, tra i 22.555 candidati, la nota di colore l’hanno messa gli “outsider” (che però non aspirano alla presidenza). Si tratta niente meno che di un ex boxeur, un’attrice porno, un ex calciatore della nazionale del ’94, una ballerina e un pagliaccio professionista. Tutti loro aspirano almeno ad un seggio dei 513 seggi in palio alla Camera dei Deputati, forti del voto di protesta ma anche per l’appeal che può esercitare sulle fasce più povere della popolazione un personaggio “sui generis”. Francisco Everardo Oliveira Silva, in nome d’arte Tiririca, per esempio, incarna la capacità di arrangiarsi e l’aspirazione di migliorare la propria vita, come d’altronde rappresenta il presidente uscente Lula, ex operaio. Tiririca ha iniziato a lavorare in un circo all’età di 8 anni ma col tempo è diventato un comico noto, una star della tv e della rete. E ora vuole tentare il grande salto in politica.

Ma il clown non è l’unico volto noto in gara per le elezioni: il calciatore Bebeto (in realtà José Roberto Gama de Oliveira) è candidato per il partito democratico dei lavoratori nello Stato di Rio de Janeiro mentre il mitico Romario de Souza Faria corre invece per le elezioni nazionali all’interno del partito socialista brasiliano ed ha buone possibilità di essere eletto. Entrambe le formazioni politiche si collocano nel centrosinistra. Tra gli altri peculiari aspiranti politici va infine menzionata la modella e danzatrice 23enne Suellem Rocha, nota anche come “donna pera”, che tenterà di ottenere un seggio di Brasilia.

Tra poche ore si saprà l’esito definitivo delle elezioni brasiliane ma per molti c’è già un chiaro vincitore. La star indiscussa è stata comunque lui, Luiz Inacio Lula da Silva, il sessantaquattrenne ex lustrascarpe e poi operaio metalmeccanico che ha portato il Brasile fuori dalla povertà e fra le nuove potenze economiche emergenti. Le Monde lo ha definito un “presidente inossidabile”: il presidente uscente ha già assicurato alla nazione che non si ritirerà a vita privata e che continuerà a spendersi per il progresso del Paese. Lula intanto lascia l’incarico con un indice di gradimento vicino all’80 per cento di cui ben pochi leader internazionali possono vantare dopo 8 anni al potere ed è riuscito a garantire un’affidabile successione alle sue politiche di sviluppo. Di per sé, sembrerebbe già un altro miracolo.