“L’ho fatto uccidere per l’eredità”. Ma la tesi della moglie-omicida non convince

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“L’ho fatto uccidere per l’eredità”. Ma la tesi della moglie-omicida non convince

17 Settembre 2010

Tutti i fatti sembravano gli anelli di una catena di eventi già visti, già sentiti. Eppure qualcosa non quadrava nel racconto della donna. Il laccio le aveva lasciato segni evidenti sui polsi e le labbra si erano screpolate a contatto con la colla del nastro adesivo che i rapinatori le avevano appiccicato sul viso per non farla strillare.

Sul tavolo del capo della Squadra mobile di Treviso Riccardo Tumminia il verbale con tutti i rilevamenti effettuati nell’abitazione riportava indizi certi. La telefonata al 113 fatta dalla figlia portatrice di handicap, sconvolta dall’accaduto. I monili d’oro scomparsi dalla camera da letto, dove la Scientifica aveva rilevato le impronte di almeno due uomini. Il cassetto riverso sul pavimento e il corpo di Eliseo sul letto, con uno straccio in bocca e gli occhi spalancati verso un vuoto terrificante. Sembrava esserci un errore in quella stanza, e doveva essere registrato come un film in quegli occhi, anche se ormai era troppo tardi per sapere la verità dall’uomo, perché era già morto da qualche ora.

E poi gli errori c’erano dappertutto. In disordine soltanto un cassetto (che i ladri sapessero esattamente dove trovare gli oggetti di valore?), l’aggressione alla donna in giardino che potrebbe essere stata costretta ad aprire la porta d’ingresso (strano però: nessun segno di colluttazione e, poi, cosa ci faceva lei in giardino all’1 e 30 di notte?). Come se non bastasse, nessun testimone che avesse sentito i rumori dell’aggressione nel silenzio della notte di Conegliano, un piccolo e tranquillo centro della provincia di Treviso. La trama, più si infittisce e meno convince il questore. La pista della rapina regge sempre meno. Ne sono convinti il capo della Squadra mobile e la psichiatra che segue Laura al centro di salute mentale della Usl 7, che ascoltano il racconto sempre più scettici. Il magistrato Barbara Sabattini, stringe le labbra e tira un lungo respiro, poi comincia a incalzare con le domande, sempre più serrate.

A quel punto Laura De Nardo non ce la fa più e sbotta: "Sono stata io, sì. L’ho fatto uccidere perché non ne potevo più di lui". Gli inquirenti non riescono a crederci. "Un omicidio eseguito con modalità da far rabbrividire", dirà poi il questore Carmine Damiano ai giornalisti. La donna continua la disperata confessione: "L’ho chiesto ai miei vecchi amanti, in cambio gli avrei dato 200 mila euro. E sono stata a guardare la scena mentre lui moriva". Tutto un film, dunque, con delle parti già assegnate e un finale tragico premeditato.

Stando al resto della confessione il quadro sembra completo: la donna avrebbe giocato al computer nella stanza accanto, mentre i complici del delitto (in due, ingaggiati da un terzo uomo non presente nella casa) infilavano lo straccio imbevuto di acido nella bocca di Eliseo David, 71 anni, prima di soffocarlo definitivamente con un cuscino sulla faccia. Gli assassini le hanno legato polsi e caviglie, e messo il nastro adesivo sulla bocca. Dopo sarebbero usciti portandosi dietro qualche oggetto di valore per depistare ulteriormente le indagini. Ma la messinscena non finisce qui. Laura, 61 anni, ha gridato forte nonostante il nastro sulle labbra glielo impedisse, svegliando la figlia Sally Tonon, di 40 anni, avuta da un’unione precedente, che ha liberato la madre dai legacci. Quest’ultima avrebbe recitato la parte scoprendo con la figlia il corpo dell’uomo esanime nella sua camera da letto. A quel punto la chiamata di Sally al 113.

Il mistero sembra ormai svelato, anche perché il racconto sembra compatibile con la ricostruzione degli investigatori. Eppure manca una sola tessera per completare il puzzle. Qual è stato il movente? Laura De Nardo dice di aver organizzato tutto perché aveva bisogno dei soldi dell’eredità del marito. Ma questa versione non convince il professor Francesco Bruno, criminologo titolare della cattedra di scienze psichiatriche a "La Sapienza" di Roma. "Questi fatti accadono di solito quando la vittima è anziana e il crimine è commesso da una persona più giovane. Perché la De Nardo avrebbe aspirato all’eredità del marito a 61 anni?". E poi, sostiene Bruno, sembra strano che la donna abbia potuto garantire una ricompensa di 200 mila euro ai complici quando sostiene invece di aver inscenato il crimine per bisogno di denaro. "Forse – allude il criminologo – c’è sotto qualcos’altro".

Ad ogni modo, grazie alla confessione strappata alla donna, la Polizia ha arrestato i complici: Mirko Della Giustina (29 anni), idraulico, Gennaro Geremia (48 anni), manutentore di un Hotel di Mestre e pregiudicato, Ivan Marin (36 anni), disoccupato. Questi, che saranno interrogati a loro volta, dovranno confermare la deposizione della committente e chiarire le modalità di un accordo criminoso stipulato con una donna fragile, ormai anziana e vedova del primo marito (annegato in Australia), da tempo seguita presso un centro di salute mentale, madre di una ragazza portatrice di handicap rimasta orfana del padre. Ora, di due.