Libano: 5 vittime in un attentato. Morto generale al-Hajj

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Libano: 5 vittime in un attentato. Morto generale al-Hajj

Libano: 5 vittime in un attentato. Morto generale al-Hajj

12 Dicembre 2007

Un’esplosione avvenuta questa mattina a Beirut ha causato cinque
vittime, fra cui anche il generale Francois al-Hajj, comandante operativo
dell’Esercito libanese.

L’attentato si è verificato nel sobborgo cristiano di Baabda, a
sud-est di Beirut, non lontano dal Palazzo Presidenziale, secondo quanto hanno
riferito fonti delle forze di sicurezza, secondo cui Hajj era uno dei
principali candidati ad assumere la guida delle Forze Armate una volta che
l’attuale titolare, generale Michel Suleiman, dovesse essere eletto capo
dello Stato, secondo l’accordo di massima raggiunto faticosamente dalle
diverse forze politiche contrapposte.

L’esplosione avvenuta durante l’ora di punta, ha provocato la morte di almeno
quattro persone e il ferimento di altre sette. L’area in cui si è verificato
ospita numerose ambasciate straniere, di Paesi sia arabi sia occidentali.

Hajj, 54 anni, era originario di Rmeish, località situata nel
sud, a ridosso del confine con Israele. Alla fine degli anni ’70 era
sfuggito a un attacco delle forze israeliane, e di recente si era distinto
in particolare fra la primavera e l’estate scorse quando, di concerto con
Suleiman, diresse le operazioni militari contro i guerriglieri del gruppo
ultra-radicale Fatah al-Islam, asserragliati nel campo profughi palestinese
di Nahr el-Bared alle porte di Tiro, nel nord del Libano.

La sanguinosa battaglia si protrasse per quindici settimane consecutive,
prima che la resistenza dei ribelli fosse stroncata, e che i soldati
governativi riuscissero a riassumere il controllo della baraccopoli, ormai
abbandonata in massa dagli abitanti

L’alto
ufficiale era una figura molto stimata, e l’ennesimo atto di terrorismo nel
Paese dei Cedri è stato uno dei rari casi in cui siano stati presi di mira
esponenti della casta militare che, a dispetto delle pluridecennali contrapposizioni
tra partiti e comunità etnico-religiose diversi, in genere ha saputo mantenere
un atteggiamento imparziale, guadagnandosi una relativa fiducia da parte di
pressocché tutti i contendenti.

L’episodio è da considerarsi tanto più grave in quanto è caduto in un momento
nel quale il Libano sta
attraversando la crisi politica forse peggiore della sua pur travagliata
storia.
Dal 23 novembre, quando si concluse il mandato del filo-siriano Emile Lahoud, è
senza un presidente della Repubblica. Vano finora ogni tentativo di trovare un
compromesso su un personaggio accettabile per tutti. Ieri il Parlamento di
Beirut si sarebbe dovuto riunire per formalizzare l’elezione di Suleiman,
cristiano maronita come vuole il tradizionale sistema di contrappesi che regola
le istituzioni libanesi, e candidato in apparenza non sgradito neppure a gran
parte dell’opposizione: il giorno prima però la seduta era stata rinviata
ancora una volta, l’ottava di fila, al 17 dicembre prossimo, prorogando un
vuoto di potere che rischia di riportare d’attualità i tempi funesti della
guerra civile, combattuta fra il ’75 e il ’90.