Libano, elezioni decisive per il futuro del Medio Oriente

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Libano, elezioni decisive per il futuro del Medio Oriente

06 Giugno 2009

Si terranno domani, domenica 7 giugno, le elezioni politiche in Libano. E’ sempre difficile fare previsioni sui risultati delle elezioni in Medio Oriente, ancora più difficile in questo caso, visto che le formazioni che si affrontano sembrano davvero essere testa-a-testa. Da una parte l’opposizione dell’”8 Marzo”, che prende il nome dal giorno in cui migliaia di manifestanti riempirono la piazza Riad el Solh, nel cuore di Beirut, per dimostrare il proprio sostegno alla Siria, composta dagli sciiti di Hezbollah e quelli di Amal, dal generale cattolico-maronita Michel Aoun, leader del Free Patriotic Movement, e dai cristiani armeni del Tashnak (che però potrebbero dividersi). Dall’altra parte l’attuale maggioranza governativa, il cosiddetto fronte “14 Marzo”, dal giorno della rivolta antisiriana, la cosiddetta Rivoluzione dei Cedri, seguita all’omicidio Rafik Hariri, di cui fanno parte Saad Hariri, figlio dell’ex premier e leader della Corrente del Futuro, sunnita; i druzi di Walid Jumblatt; i cattolico-maroniti di Amin Gemayel, guida delle Falangi Libanesi, e di Samir Geagea, leader delle Forze Libanesi (Lebanese Forces, LF).

Vi sono però alcuni elementi che potrebbero fare la differenza. Innanzitutto l’orientamento del Presidente Suleiman, che sembra scommettere sulla vittoria dell’attuale opposizione guidata da Hezbollah. Al contrario, decisivo per la coalizione 14 Marzo potrebbe rivelarsi l’appoggio di un importante attore politico, Michel Murr, che porterebbe una parte dei voti del Tashnak alla coalizione governativa. E non è da sottovalutare nemmeno l’impatto delle parole del patriarca maronita Nasrallah Sfair, che di recente ha dichiarato che sarebbe "uno storico errore se la coalizione ‘8 Marzo’ ottenesse la maggioranza in parlamento”.

Come al solito i sondaggi non aiutano a decifrare la situazione, dato che ve ne sono di discordanti, a seconda della parte politica vicina al Centro Studi che li diffonde: secondo i calcoli di Kamal Feghali, principale responsabile dei sondaggi per la coalizione “8 Marzo”, l’opposizione otterrebbe 53 seggi sicuri mentre la coalizione 14 Marzo ne otterrebbe 41, con 34 seggi di incerta assegnazione. I sondaggi più vicini alla coalizione oggi al governo, invece, assegnerebbero a quest’ultima un totale di 66 seggi, lasciandone 58 all’attuale opposizione. In assenza di sondaggi imparziali e, quindi, più affidabili, conviene piuttosto analizzare la situazione sul terreno, tenendo anche in considerazione il complesso sistema elettorale ed alcune peculiarità di queste elezioni.

Al centro del sistema elettorale libanese, infatti, non vi sono le singole persone, ma le comunità: sunniti, sciiti, druzi e cristiani. Ogni cittadino elegge un rappresentante scelto all’interno della propria comunità, sulla base della zona di residenza, per un totale di 128 seggi. Ma è sulla ripartizione dei seggi che occorre porre l’attenzione, poiché  è basata su rapporti di forza determinatisi quando i cristiani erano ancora la maggioranza in Libano. E’ quindi quella che ormai è diventata la minoranza cristiana che assegna la maggioranza dei seggi. Non solo, ma va tenuto conto anche degli accordi di Doha del maggio 2008 che, per la prima volta dal 1972, grazie alla formazione di circoscrizioni più piccole, consente ai cristiani di scegliere una cinquantina di deputati. E’ dunque in queste piccole circoscrizioni cristiane che si deciderà da che parte andrà il paese. E questo è tanto più vero se si considera che l’opposizione parte con 33 seggi indubbiamente garantiti (quelli sciiti del sud del Libano, tranne Sidon, Beirut II e  Baalbek-Hermel) e che quindi, per ottenere una buona maggioranza ha bisogno di almeno altri 32 seggi. Anche ammettendo che il generale Aoun e i suoi alleati riescano ad ottenere i 25 di cui sono accreditati (3 a Zghorta, 1 a Koura, 3 nel Jbeil, 5 nel Keserwan, 5 nel Metn, 4 a Baabda, 1 a Beirut I,e 3 a Zahleh), ne mancherebbero ancora 7.

E quanto siano importanti i voti cristiani si capisce anche da come Hezbollah ha condotto la campagna elettorale, utilizzando, cioè, toni inusualmente pacati per evitare di spaventarli ed allontanarli. La minoranza cristiana, infatti, è storicamente schierata con le fazioni pro-occidente, contro la Siria (lo stesso Generale Aoun, oggi al fianco del Partito di Dio, è stato un fiero oppositore dei siriani) per questo Nasrallah ha fatto di tutto per evitare di porre eccessiva enfasi sull’appoggio di Teheran e Damasco alla coalizione ‘8 Marzo’, accogliendo quasi con fastidio le dichiarazioni pro-Hezbollah del presidente Ahmadinejad. Proprio su questo invece ha insistito la coalizione “14 Marzo”, ed in particolare il leader delle Lebanese Forces, Samir Geagea, che ha dichiarato: “Avete cacciato i siriani fuori dal Libano, non lasciate che rientrino dalle urne dei ballottaggi”. Geagea ha poi sottolineato il ruolo cruciale delle sue LF per garantire l’indipendenza del Libano dalle ingerenze di Siria e Iran: “Noi siamo la vera resistenza, i liberi, i patrioti, non legati a nessuno”. Chiaramente Geagea insiste su una nota che sa essere dolente per Hezbollah: la paura dei cristiani della dominazione sciita che trasformerebbe definitivamente il governo libanese in una appendice di Damasco e Teheran.

Non è un caso che Hillary Clinton prima ed il vicepresidente Biden più recentemente abbiano fatto tappa in Libano per sottolineare la vicinanza degli Stati Uniti all’attuale governo Siniora e la possibilità di rivedere i finanziamenti in caso di vittoria di Hezbollah. "Valuteremo la forma del nostro programma di assistenza sulla base della composizione del nuovo governo e delle politiche che proporrà", ha avvisato Biden e non c’è da stupirsi, visto che il Partito di Allah è inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche degli Stati Uniti (ma non dell’Unione Europea). Tanto più che tutte le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che prevedevano il disarmo di Hezbollah, a cominciare dalla 1701, sono state ampiamente disattese. Non solo infatti i miliziani di Nasrallah non hanno neppure accennato a consegnare le armi, ma anzi, hanno rafforzato sempre più il proprio potenziale militare, con l’aiuto di Teheran e Damasco.

A queste condizioni non stupisce che il paese sia profondamente diviso, tra chi, da un lato, vorrebbe mantenere le tradizionali alleanze occidentali, e chi, dall’altro, vorrebbe sostituirle con Iran e Siria. Il risultato potrebbe portare ad una situazione simile a quella che si creò a Gaza a seguito dell’elezione di Hamas: una lunga sospensione degli aiuti finanziari internazionali e l’imposizione di regole stringenti per fare in modo che tali finanziamenti non finiscano nelle mani dei terroristi. “La scelta è tra il modello rappresentato da Gaza e uno stato libanese sviluppato e civile”, ha precisato Gemayel, “dovete scegliere tra la guerra e la pace”. Lo stesso sceicco Nasrallah conosce il precedente di Hamas e sa a cosa potrebbe andare incontro, tanto che Foreign Policy ha perfino ipotizzato che “Hezbollah potrebbe non avere la vittoria come principale obiettivo”.  Nasrallah è consapevole che una sua vittoria potrebbe innescare le stesse reazioni internazionali, minando così seriamente lo spazio di manovra politico del movimento. Un deciso taglio negli aiuti internazionali e un ritorno dell’ingerenza della Siria negli affari interni libanesi potrebbe far salire la tensione e rigettare il Libano nel caos, nella violenza e, non ultima, nella guerra civile. Potrebbe essere più conveniente, quindi, per il Partito di Allah continuare a governare de facto il Libano senza necessariamente doverlo fare de jure.