Libano, Unifil smantella una cellula terrorista. Hezbollah si è risvegliato
22 Luglio 2009
Le notizie che arrivano dal Libano sono contraddittorie. I militari di Unifil hanno smantellato una cellula terrorista che preparava un attentato contro le forze internazionali. L’Hezbollah accusa Unifil di avere un atteggiamento "provocatorio". E dopo la sassaiola contro i soldati italiani, la città di Tiro concede la cittadinanza onoraria al nostro ambasciatore Checchia. Che succede a Beirut?
Le elezioni dello scorso giugno non hanno contribuito a rasserenare il clima nel Paese, nonostante la chiara affermazione della coalizione filo-occidentale del 14 marzo. Anzi, le difficili trattative sulla formazione di un nuovo governo di unità nazionale hanno rinfocolato dissidi e tensioni che già lo scorso 29 giugno avevano portato alla morte di una donna, rimasta uccisa in scontri divampati nel quartiere di Aisha Bakkar, a Beirut, tra miliziani del Movimento del Futuro del premier incaricato Hariri e miliziani di Amal.
Il problema è sempre il solito. Quello del diritto di veto sulle decisioni governative, chiesto dalla minoranza per entrare in una compagine di unità nazionale. Sulla questione, che tanto sta a cuore soprattutto ad Hezbollah, già nel maggio dell’anno scorso il Libano era ripiombato nel caos della guerra civile dopo la decisione dell’allora governo Siniora di smantellare la rete telefonica parallela creata da Hezbollah nel Paese. Difatti, dalla crisi, che ha portato alla morte di centinaia di persone, si è usciti solo concedendo ad Hezbollah ed alleati il potere di veto nell’ambito di un nuovo governo Siniora.
Nulla è cambiato allora. Le trattative portate avanti in questo mese e mezzo da Hariri junior si sono ripetutamente infrante su questo scoglio. La coalizione dell’8 marzo guidata da Hezbollah pone come condizione per entrare nel Governo di unità nazionale, voluto a gran voce da tutti gli attori politici libanesi, il diritto di veto per i propri ministri così da garantirsi l’intangibilità della propria sfera di interessi. Hariri, ma soprattutto i suoi alleati cristiani Gegea ed Amin Gemayel, si oppongono a questa richiesta ed offrono solo una larga partecipazione al processo decisionale. Le uniche differenze con lo scenario di un anno fa sono le posizioni apparentemente più morbide di Hariri – memore dei risultati disastrosi figli della linea dura adottata da lui e Siniora l’anno scorso – e del leader di Amal Nabih Berri, soddisfatto per aver battuto tutti i record di longevità con la quinta rielezione alla presidenza del parlamento e sempre molto attento a non farsi trovare impreparato da ogni possibile evoluzione dello scenario politico.
Lo stallo politico pare in certa misura determinato anche dalla congiuntura politica che si va delineando fuori dal Libano. L’alleanza tra Siria ed Iran non appare più granitica come una volta e sta accusando i segni del tempo, mentre Teheran è alla prese con il più grave scontro di potere interno dall’avvento della repubblica islamica. Dalla Siria giungono segnali sempre più interessanti di apertura verso Occidente e Arabia Saudita. Il presidente Assad ha invitato Obama a Damasco e Washington ha confermato l’intenzione di riaprire la propria ambasciata in Siria dopo quattro anni. Lo stesso ha fatto l’Arabia Saudita ed il premier libanese Hariri ha affermato che presto si recherà in visita a Damasco.
Ma questa disponibilità della Siria al dialogo – il cui obiettivo è il recupero delle alture del Golan e possibilmente anche l’ottenimento di un ammorbidimento della sentenza del tribunale internazionale sull’omicidio Hariri (senior) – ha irrigidito ancor di più la posizione dell’Iran accentuandone il complesso di accerchiamento e l’insicurezza e gettando ulteriore sabbia negli ingranaggi della complessa macchina dei rapporti tra i due paesi. In quest’ottica si potrebbero spiegare le effervescenze che hanno attraversato Hezbollah negli ultimi tempi.
Il Partito di Dio ha condotto una campagna elettorale all’insegna della prudenza e del buon senso ed anche subito dopo la sconfitta non si è lasciato andare a reazioni violente mandando avanti nelle trattative per la formazione del nuovo governo il generale Aoun. Ma negli ultimi giorni, e qualcuno suggerisce proprio in concomitanza con la crisi iraniana, il quadro è cambiato. L’esplosione di un deposito di armi appartenente ad Hezbollah nel villaggio nel Libano del Sud Khirbet Silim, e gli scontri di domenica tra abitanti e militari francesi e italiani di UNIFIL che volevano ispezionare un edificio adiacente a quello interessato dall’esplosione, sono tutti segnali preoccupanti.
Il generale Graziano non ha esitato a bollare come una violazione della risoluzione 1701 la presenza di un così cospicuo quantitativo di armi al di sotto del fiume Litani, mentre le LAF non hanno avuto di meglio da fare che accusare UNIFIL di averne usurpato i compiti. Hezbollah, almeno ufficialmente, non ha reagito, anche se erano suoi gli uomini che hanno respinto a sassate e colpi di mazza i militari di UNIFIL evidentemente intenzionati a capire ciò che restava del deposito esploso. Così come suo, era il pugno di donne e bambini, guidati dal parlamentare Qassem Hassem, che ha simbolicamente occupato la postazione di Kfarshouba sulla linea di confine con Israele nell’area contesa delle fattorie di Shebaa.
E così in questi giorni la tensione ha finito col crescere anche nel Libano del Sud, dove sotto le ceneri di tre anni di calma si cela un vero e proprio vulcano. Pronto a riesplodere qualora la situazione in Iran dovesse aggravarsi.