Liberali cattivi o cattivi liberali?

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Liberali cattivi o cattivi liberali?

Liberali cattivi o cattivi liberali?

25 Maggio 2007

Se qualcuno violasse la mia
corrispondenza o m’impedisse di manifestare il mio pensiero o di praticare il
culto che voglio, avrei il diritto di ricorrere ai tribunali o di ribellarmi a
uno Stato che legasse le mani ai giudici, anche se la stragrande maggioranza
dei miei concittadini approvasse l’arbitrio commesso ai miei danni. I diritti
fondamentali dell’uomo e del cittadino, infatti,non dipendono dal beneplacito
dei governi o dalla buona volontà dei nostri simili a tenerli in debita
considerazione ma sono una dotazione che ci portiamo fin dalla nascita e che
nessuno ci può sottrarre. Le leggi registrano tale dotazione e predispongono un
quadro istituzionale che ne rende possibile l’utilizzo, impedendone la
sottrazione o la manomissione. Chi ammettesse la censura sulla stampa o limitasse
la libertà di culto, potrebbe avere le sue buone ragioni ma non potrebbe più     definirsi ‘liberale’.

 Al contrario, se qualcuno si opponesse al mio
progetto di aumentare il carico fiscale gravante sui cittadini al fine di
dotare i non abbienti di ‘case popolari’, di assistenza sanitaria gratuita, e
di altre provvidenze sociali, non potrei certo denunciarlo alla magistratura.
Il suo comportamento, sulla base dei miei valori e della mia etica, sarebbe forse
riprovevole, rivelerebbe durezza di cuore, rendendolo decisamente antipatico e insociale, ma non gli farebbe perdere
il diritto a dirsi ‘liberale’. Sarà un liberale cattivo ma non certo un cattivo liberale.

Questi due esempi vanno al cuore
della questione gay.

 I dico, i pacs,
i matrimoni tra persone dello stesso sesso vanno considerati come provvedimenti
legislativi ai quali si ha un diritto assoluto–indipendentemente dalle
disposizioni dei partiti e dei loro elettori– in quanto fondato sulla libertà
e la dignità della persona che non deve rendere conto a nessuno del suo stile
di vita  o della sua privacy? Oppure quei nuovi istituti che si vogliono fare entrare
nei nostri codici hanno bisogno (de jure
e de facto), dell’accordo ‘politico’
dal momento che, come tutti i rapporti sociali, che chiedono la protezione
giuridica, comportano prestazioni obbligatorie da parte della collettività  ?

 Quanti rispondono positivamente alla prima
domanda non sembrano attribuire alcuna importanza al principio aureo della
democrazia che detta:. Convinti come sono che l’essere omosessuali o eterosessuali sia
altrettanto naturale che l’essere
nati ‘bianchi’o ‘neri’ o ‘gialli’, vogliono che l’’omosessismo’(‘gli
eterosessuali sono normali, gli omosessuali no’) sia posto sullo stesso piano
del ‘razzismo’—ovvero che vengano bollati moralmente e ,al limite, sanzionati
penalmente, quanti, con scritti o con parole, mostrano di non condividere l’idea
civilissima dell’assoluta irrilevanza dei diversi orientamenti sessuali—e che
sia concesso alle coppie gay tutto ciò che viene concesso alle coppie
‘tradizionali’.

 Quanti, invece, rispondono positivamente alla
seconda domanda non interdicono agli altri la libertà di regolare la loro vita
come meglio desiderano ed ,anzi, ritengono talmente sacro e inviolabile il loro
privato da negare a qualsiasi
autorità ( spirituale o temporale)  il
diritto di imporre norme di condotta ad adulti liberi e responsabili che vivano
sotto lo stesso tetto. Ciò che fanno valere è la necessità di chiedere il parere positivo della comunità politica ogni
qualvolta si voglia costituire   una societas
alla quale le istituzioni dovrebbero garantire lo stesso trattamento riservato
alle altre societates, giudicate di .

 Contrariamente a quanto mi attribuisce
Maurizio Ferrera, nell’articolo Dico, una
sfida per tutti i liberali
(20 maggio u.s.), non sostengo affatto che un
liberale debba necessariamente pronunciarsi contro
dico, pacs e quant’altro ma che essere contro
dico, pacs e quant’altro non significa non essere liberale. Può significare, mi
ripeto, essere un liberale cattivo ma non un cattivo liberale.

  Ferrera,
dopo aver citato un  articolo, apparso su
‘L’Occidentale’, in cui avrei scritto che (per la verità. non avevo
affatto ‘quantificato’ ma non è questo il punto) mi fa rilevare che . E chi ha mai affermato il contrario? Quel che continua a
sembrarmi inaccettabile, nel primo dei suoi articoli sulla questione gay, Perché
i liberali tacciono sul family day
(26 aprile u.s.) è l’idea (giacobina)
che la legge debba creare laddove, per un liberale,
sono le mentalità e i costumi che creano le leggi.  Se ‘rispetto pubblico’ significa divieto di
offesa e di ostentazione di disprezzo e, soprattutto, inammissibilità di
qualsiasi discriminazione nei riguardi dei ‘diversi’ che, uti singuli, chiedano di svolgere determinati  ruoli sociali o di concorrere a cariche
pubbliche, allora il ‘rispetto pubblico’ non può negarsi a nessuno : né agli
omosessuali  né ai cacciatori, né ai tradizionalisti
cattolici né ai rifondazionisti comunisti. Quel che non si può pretendere è
l’apprezzamento sociale o la finzione bonocore
che, in fatto, di teorie, credenze, antropologie . Altrimenti si avrebbe uno ‘stato etico pluralistico’ in cui
saremmo obbligati a ritenere normali
e degne di stima tutte le
visioni del mondo (‘da qualsiasi parte provengano’) e in cui non sarebbe più
lecito rispettare l’uomo Fausto Bertinotti e insieme dire che la sua visione
del mercato è farneticante o rispettare l’uomo Omar Khaled ma ritenere che
l’adorazione della pietra nera è pura superstizione. (Naturalmente, nella
società aperta, Bertinotti e il musulmano potrebbero, con lo stesso buon
diritto, ribaltare l’accusa).

 Se Ferrera è d’accordo sul diritto alla  non
 stima sociale, allora non vedo
motivo del contendere. Sennonché, nell’articolo Una tregua civile (11 maggio u.s.), dopo aver delineato due
percorsi per risolvere il conflitto sulle coppie di fatto, dichiara di non
accontentarsi  della in virtù della quale si prende  atto, dinanzi
a < visioni non conciliabili sulla famiglia>, che , non giovando a
nessuno , va in grado di creare modus vivendi tra soggetti con valori diversi ma che si sentono
comunque parte della medesima comunità politica>. Il percorso che preferisce,
invece, è quello della fondato sul
o meglio su un <’pluralismo ragionevole’ basato sul linguaggio e i valori della cittadinanza, sulla capacità di offrire e ascoltare buone ragioni>.

 Non è difficile vedere, però, che la
separazione e distinzione liberale tra se significa qualcosa nel modello della ‘tregua civile’ non  ha più senso nel modello della ’ sintesi
ragionevole’, inteso proprio a neutralizzare la disistima sociale con le
solite strategie buoniste del dialogo e della ricerca di intese su ‘valori
comuni’.

  In
realtà, i democratici rawlsiani non vogliono addivenire a un bargaining che faccia un po’ di  concessioni  alle coppie
gay (di queste solo si tratta giacché gli individui
gay  hanno, hanno come tutti, diritti e
libertà sacri per tutti), in nome dell’equità e del dovere degli uomini di
governo di registrare e di venire incontro ai bisogni e ai desideri sempre
nuovi che maturano nella società civile. Ciò che vogliono è fondare i diritti
delle coppie gay su comuni Weltanschauungen
ottenute attraverso il confronto ragionevole….e l’espulsione dall’agorà di quanti continuano ad avere–anche dopo gli esaltanti incontri con i sociologi
multiculturalisti, con i cattolici delle comunità di base, con i radicali
liberali-liberisti-libertari, con i movimenti sociali, con i filosofi
pluralisti, con le rappresentanze degli enti locali e dei comitati scolastici
etc.– . I più
intransigenti (e coerenti), però, non si
accontentano neppure di questo: per loro quei diritti sono spade nella roccia
di granito dei ‘diritti universali dell’uomo e del cittadino’ e il fatto stesso
che si debba ‘metterli ai voti’, tutto sommato, è motivo di sconcerto. La
‘libertà di associazione’, obiettano, non è un diritto indisponibile?
Sicuramente ma per i classici del liberalismo riconoscere tale libertà non
significava affatto diritto al suo riconoscimento pubblico con tutti gli oneri (a carico della collettività)
che esso avrebbe comportato. Che un’associazione potesse venire valorizzata dallo
Stato, in quanto ritenuta utile e preziosa per la collettività, non era affatto
escluso ma per questo occorreva una legge e per la legge occorreva
l’approvazione della maggioranza.

 Pretendere che i diritti naturali delle persone che danno vita a
un’associazione trapassino in questa è cosa che, obiettivamente, non si può
chiedere a un liberale. La solenne Dichiarazione
dei diritti
degli individui è iscritta nelle Costituzioni,  ma gli
istituti che essi creano, se vogliono avere rilevanza pubblica, debbono essere
approvati da una legge ordinaria,
sulla quale, di volta in volta, si può essere d’accordo o meno. Criminalizzare
quanti non sono d’accordo o togliere ad essi la qualifica di liberali è
espressione inequivocabile di esprit
jacobin
.