“Liberalizzare i servizi pubblici locali? E’ l’Ue che lo impone”
28 Aprile 2007
di redazione
“E’ dagli anni ’90 che si parla di riorganizzare il sistema di gestione dei servizi pubblici locali, ma nessuno c’è mai riuscito. O meglio: nessuno è mai riuscito a riformare il sistema dalle fondamenta. Finora si sono tentate solo riforme parziali, di natura tecnica o imposte dall’alto, ma nulla di veramente incisivo”. Franco Frattini, vice presidente della Commissione Europea, giudica il disegno di legge Lanzilotta, che recentemente ha dato il via libera alla liberalizzazione dei servizi pubblici locali “poco coraggioso”. Lo fa in occasione dell’incontro “Il mercato fuori dal Comune. La riforma dei servizi pubblici locali”, organizzato dalla Fondazione Magna Carta.
Presidente, secondo lei perché il ddl Lanzillotta è poco coraggioso, che cosa gli manca veramente?
Manca un meccanismo incentivante, perché la scelta del mercato costituisce un reale vantaggio anche politico; un sistema organico di ricaduta politica e anche un meccanismo di controllo vero che non siano soltanto le associazioni di tutela dei consumatori.
Ma perché è così importante liberalizzare i servizi pubblici locali?
Per garantire più concorrenza e quindi condizioni migliori per i cittadini che chiedono di avere nelle loro case servizi di qualità e a un prezzo più basso. Se manteniamo una presenza pubblica e assolutista nella gestione dell’acqua, dei rifiuti e dell’elettricità, non garantiamo questi benefici al cittadino. Ma non si tratta solo di soddisfazione del cittadino. È l’Unione Europea che ci impone di cambiare sistema di gestione.
In che modo?
La normativa ha un orientamento molto chiaro: non si può eludere il principio delle gare.
E come è stato possibile finora sottrarsi dall’applicazione di tale principio?
Attraverso la costituzione di società miste comunali o provinciali. Ma questo non è possibile, perché il mercato deve essere europeo e non più locale. Questi contratti si stipulano con gara pubblica, quindi non possono esserci società pubbliche costituite ad hoc.
A suo avviso è possibile che ci sia un collegamento tra la mancata apertura al mercato, e quindi la relativa presenza di società miste, non contemplate dal trattato europeo, e la volontà del governo di mantenere il proprio potere territoriale in alcune regioni?<%2Fstrong>
Certamente c’è un grande partito dei sindaci e degli amministratori che sono largamente maggioritari nel centrosinistra rispetto al centrodestra. Poi c’è anche una cultura, purtroppo, del potere locale, che mescola la gestione dell’economia con la gestione della politica.
E questo che conseguenze ha sulla vita dei servizi pubblici?
Sicuramente comporta che organismi che dovrebbero fare business finiscono per essere soggetti ad amministratori delegati o presidenti che sono diretta espressione della vita politica. Purtroppo questo meccanismo deriva anche dal fatto che, ad esempio, il sistema di elezione dei sindaci porta al rinnovo totale dell’organico ad ogni elezione.
Si può parlare di riforma mancata anche a proposito della legge Buttiglione del 2003?
Purtroppo sì. La legge Buttiglione si è limitata ad aggiustamenti formali senza tentare una riforma sostanziale, perdendo l’occasione per fare una proposta coraggiosa. Un’opportunità perduta a causa della forte pressione delle componenti regionali e territoriali. In più la Lega allora esercitò un ruolo determinante nel frenare questa riforma. E non ci fu nulla da fare.