Liberalizzare i taxi è l’unica riforma possibile (con rimborsi delle licenze)
17 Ottobre 2023
Ciascuno di noi è portatore di idiosincrasie, antipatie, diffidenze verso categorie di altri esseri umani che ci accompagnano più o meno per tutta la vita. Nel nostro caso una delle categorie verso cui non nutriamo per così dire la migliore considerazione è quella dei tassisti. Al punto che saranno ormai più di dieci anni che non prendo un taxi. L’episodio scatenante accadde una sera quando, di ritorno da un viaggio con un volo, salii su un taxi per rientrare a casa dall’aeroporto, In quell’occasione il tassista al termine della corsa mi chiese oltre 100 euro, parecchio di più di quanto era costato il biglietto aereo! Eppure non abito in una periferia sperduta, abito in una zona piuttosto centrale di Roma, una zona anche abbastanza vicina all’aeroporto di Fiumicino.
Giurai allora che non avrei mai più chiamato un taxi e la promessa fino ad oggi è stata rispettata. Quando devo proprio ricorrere ad un servizio di trasporto urbano con automobile preferisco chiamare il mio NCC di fiducia che offre un servizio più economico e più efficiente del taxi. Eppure nel mio lessico familiare non c’è mai stata un’avversione per i tassisti. Anzi, un mio lontano parente, uno zio di mia madre, di professione faceva il tassista. Ed era un parente molto simpatico, al quale ero parecchio affezionato. Ma nonostante la simpatia per lo zio, io i tassisti proprio non li sopporto. Sono carissimi e sono anche spesso difficili da trovare!
La ragione di questa avversione nasce dal fatto che a me sembra del tutto irrazionale l’intero castello regolatorio che da noi disciplina l’esercizio di questa attività. Oggi in Italia l’attività dei tassisti è sottoposta al rilascio di una licenza da parte dei Comuni dopo l’espletamento di un vero e proprio concorso che riguarda un certo numero di licenze. In tal modo si introduce di fatto un numero chiuso subordinando l’esercizio di questa attività ad un procedimento di natura sostanzialmente concessoria da parte dei pubblici poteri. Ma la previsione di poteri concessori si giustifica solo in presenza di interessi pubblici sensibili che potrebbero venire pregiudicati dall’esercizio incontrollato di una certa attività.
Nel caso del trasporto automobilistico urbano a pagamento non è ben chiaro quali possano essere tali interessi. Certo c’è l’interesse alla sicurezza ed all’efficienza del servizio. Ma si tratta di interessi che possono essere perfettamente garantiti prevedendo i necessari requisiti di abilità tecnica (nella guida della vettura) e di serietà ed affidabilità (nello svolgimento del servizio), lasciando, per il resto, alla libera determinazione dei soggetti interessati la scelta di avviare questa attività. Del resto l’attività del tassista è abbastanza semplice: fino a qualche anno fa la principale abilità richiesta ad un tassista era la conoscenza della toponomastica cittadina e della regolazione dei flussi di traffico delle diverse città. Oggi che la diffusione capillare dei navigatori per auto non è più richiesta neanche questa.
Sulla base di queste ragioni non è ben chiaro perché non si proceda ad una completa liberalizzazione del servizio: chiunque voglia può decidere di dedicarsi a questo lavoro. Certo l’interessato dovrà essere in possesso di alcuni presupposti che attestino la sua capacità alla guida di un veicolo (prevedendo un’apposita abilitazione alla guida di veicoli pubblici semmai dopo la frequenza di un apposito corso), alla sua affidabilità personale (richiedendo una fedina penale pulita e l’assenza di precedenti che riguardino l’assunzione di stupefacenti e l’abuso di sostanze alcoliche).
Ma c’è un altro aspetto della nostra regolamentazione che contribuisce a rendere ingovernabile questo settore. Il nostro legislatore ha infatti previsto che chi consegua la licenza del servizio debba pagare un prezzo all’erario e che una volta ottenuta la licenza l’intestatario possa in qualunque momento decidere di cederla a terzi a fronte di un corrispettivo. Anche in questo caso sfugge del tutto la ratio di queste previsioni: la previsione di un costo iniziale non appare giustificata e del resto nulla del genere è previsto per le altre innumerevoli autorizzazioni che condizione alcune nostre attività.
Anche più assurda è la previsione della cedibilità a terzi. Se lo Stato ritiene che l’attività dei tassisti rivesta tali profili di interesse pubblico da giustificare un regime restrittivo, a numero chiuso, quasi concessorio, non si capisce come mai lo stesso Stato conceda ai titolari della licenza di cessare l’attività e cedere a terzi a pagamento la licenza. Sarebbe naturale prevedere che al termine dell’attività (semmai per raggiunti limiti di età) la licenza rientri nella disponibilità dell’ente pubblico a che la rimetterà a concorso.
Ma tant’è, oggi la quasi totalità dei tassisti ha ottenuto la licenza acquistandola da altri tassisti e pagandola anche a caro prezzo. Si valuta che una licenza per taxi oggi costi più o meno 150.000 euro e possa raggiungere in alcuni casi anche i 300.000 euro. Ma proprio quest’aspetto spiega perché oggi i tassisti si oppongano in modo feroce a qualunque tentativo di aumentare il numero di licenze. E’ chiaro che un numero maggiore di licenze produce un abbattimento del valore capitale della propria e quindi determina una perdita del proprio patrimonio.
Come è noto il 10 agosto scorso il Governo ha adottato un decreto-legge, il n. 104, che reca alcune novità in proposito. Il decreto convertito dal Parlamento nella seduta del 5 ottobre prevede in particolare un aumento sino al 20% del numero delle licenze per autoservizi pubblici non di linea che i comuni più grandi capoluoghi di regione, sedi di citta metropolitana o di aeroporto, possono rilasciare. Ulteriori misure riguardano il rilascio di nuove licenze di carattere temporaneo, o la disciplina della doppia guida dell’auto: si tratta di misure certamente positive che possono in qualche modo ovviare alla situazione di sofferenza in cui versa il settore. Però non si tratta a nostro avviso di un intervento risolutivo.
L’unica soluzione vera per una riforma piena del settore sarebbe quella di “liberalizzare” l’attività, riconoscendo il “diritto” ad ottenere la licenza per il servizio a tutti coloro che ne facciano domanda e rispettino i requisiti fissati per ottenerla. Del resto una soluzione del genere sarebbe anche in linea con i processi evolutivi di un settore nel quale l’emersione di importanti novità tecnologiche (penso a Uber, ai servizi di car-sharing tipo Car2go, Enjoy, Drivenow) sta modificando radicalmente l’orizzonte della mobilità urbana rendendo del tutto obsolete le categorie del pensiero e la strumentazione amministrativa cui eravamo abituati. E semmai, per ragioni di equità verso gli attuali tassisti, potrebbe essere prevista anche una disciplina che preveda forme di rimborso (semmai parziale, semmai spalmato nel tempo, semmai a carico dei nuovi licenziatari) del costo che hanno dovuto sostenere per l’acquisto della licenza da un altro tassista.