Liberati i cooperanti italiani. Ma salta l’accordo tra i clan e la guerra continua

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Liberati i cooperanti italiani. Ma salta l’accordo tra i clan e la guerra continua

06 Agosto 2008

I due italiani dell’organizzazione non governativa Cooperazione Italiana Nord Sud, rapiti il 21 maggio in Somalia, sono stati finalmente liberati. La notizia è stata annunciata nel tardo pomeriggio di ieri 5 agosto, mentre Jolanda Occhipinti e Giuliano Paganini erano in volo sani e salvi verso Nairobi, Kenya. Ulteriore motivo di soddisfazione è la dichiarazione del Ministero degli Affari Esteri italiano di non aver pagato alcun riscatto. Con loro, però, non è stato purtroppo rilasciato il terzo cooperante sequestrato, il somalo Abderahman Yusuf Arale, direttore del programma di sviluppo rurale al quale lavoravano i nostri connazionali. C’è da augurarsi che torni libero al più presto perché la situazione in Somalia si fa sempre più critica, malgrado l’accordo raggiunto a Gibuti il 9 giugno tra il governo e i rappresentanti dell’opposizione riuniti nell’Alleanza per la ri-liberazione della Somalia, Ars. 

I punti programmatici dell’intesa, 11 in tutto, entro poche settimane avrebbero dovuto determinare una svolta decisiva nella guerra che dal 1991 contrappone i maggiori clan del paese: questa almeno era l’opinione, peraltro non del tutto convincente, di molti osservatori. I dubbi derivavano innanzitutto dall’assenza a Gibuti di alcuni importanti esponenti dell’opposizione antigovernativa e in secondo luogo, naturalmente, dall’esperienza di 17 anni di negoziati, trattative, protocolli d’intesa e accordi siglati a tavolino e immediatamente dopo violati. 

All’indomani dell’accordo, quei dubbi sono stati subito confermati. Il firmatario per l’Ars, Sharif Ahmed, è stato accusato di tradimento da una parte dell’Alleanza e, nonostante la mediazione yemenita, l’ala più radicale delle Corti Islamiche, la coalizione di clan impadronitasi di Mogadiscio e di vaste porzioni del territorio somalo nel 2006 e poi sconfitta dalle truppe etiopi accorse in aiuto del governo di transizione, ha ribadito la propria intenzione di combattere fino alla riconquista del paese. Il suo leader, Hassan Dahir Aweys, il 23 luglio si è autoproclamato capo dell’Ars, rendendo definitiva la frattura all’interno dell’Alleanza. 

Come se non bastasse, pochi giorni dopo anche le istituzioni politiche faticosamente create dopo anni di trattative, hanno mostrato, e per l’ennesima volta, la loro estrema debolezza. Una crisi del tutto inopportuna è infatti scoppiata dopo la decisione del primo ministro Nur Hassan Hussein di destituire il sindaco della capitale, Mohammed Dheere, accusato di insubordinazione e di aver fallito la missione di ristabilire l’ordine a Mogadiscio. Sollecitata e accolta con soddisfazione dal potente clan Awiye, la rimozione di Dheere, in carica dal 2007, non è però stata accettata dal presidente Abdullahi Yusuf Ahmed e, in segno di solidarietà con il capo di stato, 10 dei 15 ministri del governo di Hussein si sono dimessi. 

Nel frattempo, in tutto il paese si moltiplicavano gli atti di violenza e gli scontri tra l’esercito somalo, rafforzato dalle truppe etiopi, e le milizie antigovernative. L’ultimo e più sanguinoso attentato si è verificato il 3 agosto nella capitale: una trentina di donne incaricate di tener pulite le strade, un’iniziativa promossa dall’organizzazione non governativa Adra proprio per ridurre il rischio che nei mucchi di spazzatura sparsi ovunque vengano nascosti ordigni esplosivi, sono state dilaniate da una bomba. L’attentato ha provocato 20 morti e una cinquantina di feriti.

La situazione è in sostanza fuori controllo. A farne le spese è soprattutto la popolazione presa tra due fuochi e, come spesso accade in Africa, per di più privata del poco che le rimane dai militari governativi senza stipendio e dai militanti dell’opposizione che ricavano di che vivere razziandone i beni. Anche l’assistenza da parte degli organismi umanitari si fa più difficile di giorno in giorno: all’insicurezza generale, si aggiunge il fatto che i combattenti rimediano denaro e risorse ponendo posti di blocco e taglieggiando i convogli di aiuti in transito. Indicativo del deterioramento delle condizioni generali di vita, è il moltiplicarsi delle aggressioni alle organizzazioni umanitarie. Particolarmente significativo è l’episodio verificatosi il 17 luglio ad Afgoye, la cittadina situata pochi chilometri a sud di Mogadiscio dove sono accampati, in attesa di sistemazioni più sicure, decine di migliaia di sfollati. Tre anziani, membri rispettati del locale comitato di saggi, sono stati uccisi mentre aiutavano nella distribuzione di aiuti alimentari: un fatto inaudito, dato il tradizionale rispetto riservato agli anziani in Africa.