Libertà religiosa: il governo chiama laicità l’indifferenza

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Libertà religiosa: il governo chiama laicità l’indifferenza

Libertà religiosa: il governo chiama laicità l’indifferenza

16 Luglio 2007

La I Commissione della Camera ha
trovato un accordo di maggioranza su un testo unificato di legge sulla libertà
religiosa a firma Boato e Spini che lascia piuttosto perplessi. La carenza di
fondo del testo di ddl è che l’architettura giuridica a garanzia della libertà
di coscienza in materia religiosa viene fondata sulla tolleranza intesa come
indifferenza. La laicità dello Stato viene concepita come indifferenza dello
Stato nei confronti delle confessioni religiose e sostanziale rinuncia non solo
a tenere in considerazione gli aspetti storici e culturali che legano la nostra
società e lo stesso nostro sistema giuridico ad una religione piuttosto che
un’altra, ma anche rinuncia ad esaminare il valore delle diverse confessioni
religiose in ordine al perseguimento del bene comune. In altre parole rinuncia
alla ragione politica, con la quale oggi occorre anche esaminare il contenuto
delle religioni per portare alla luce gli elementi di promozione o lesione
della dignità della persona che possono produrre.

E’ vero che la bozza di legge in
questione fa riferimento a principi propri del nostro umanesimo occidentale,
ossia la libertà di coscienza e i principi enunciati dalla nostra Costituzione.
Ma proprio questo avrebbe dovuto condurre ad una più chiara consapevolezza di
quale libertà religiosa e di quale persona umana stiamo parlando. Proprio
assumendo il concetto cristiano ed occidentale di libertà religiosa, che fa
capo al concetto, ancora più fondamentale, di dignità della persona umana e di
diritto alla ricerca della verità, ne dovrebbe nascere un approccio non
generico ed indifferente verso le religioni, ma di discernimento. In questo
momento la politica non può genericamente equiparare tutte le religioni, ma
deve assumersi la responsabilità di valutarle alla luce della ragione politica,
ossia di un’idea di persona e di comunità che ci appartiene, che non è
indifferentemente frutto dell’influenza di tutte le religioni e che non è
nemmeno compatibile con tutte le religioni. Non si tratta di negare la libertà
di religione ma di disciplinarla in conformità con la verità della persona
umana da cui promana lo stesso principio della libertà di coscienza e di
religione. Questa non è infatti una generica, vuota e qualunquistica
autodeterminazione religiosa, che può valere nel privato ma non nel pubblico, a
meno di rinunciare ad una ragione pubblica capace di conoscere quanto è utile o
dannoso alla comunità.

Il testo unificato approvato
dalla Commissione in sede referente prevede la costituzione di un Registro
delle confessioni religiose, l’iscrizione al quale permette l’acquisto della
personalità giuridica agli effetti civili. Prevede poi la possibilità di
attuare Intese con il governo, confermate da una legge dello Stato. Sul piano
dei diritti civili sono di particolare interesse il diritto alla sospensione
del lavoro per motivi di culto (art. 14/3 e art. 15/1), il diritto ad acquisire
e gestire per motivi di culto immobili nei quali la forza pubblica non ha
diritto di accesso se non in casi eccezionali (art. 23) e la possibilità di
garantire gli effetti civili per i matrimoni celebrati con rito religioso (Capo
IV). Su tutti e tre questi punti le perplessità si infittiscono. Si garantirà a
fedeli di altre religioni di interrompere il lavoro più volte al giorno per la
preghiera? Non lo si riconosce nemmeno ai i cattolici che non possono, a
mezzogiorno, staccare per recitare l’Angelus. Quello dei luoghi di culto è un
problema non semplice da risolvere, vediamo cosa sono spesso le moschee in
Italia. Infine il matrimonio: a quale rito matrimoniale si concederà gli
effetti civili? A tutti? Anche a quelli forzati o a quelli che non prevedono
l’uguaglianza tra uomo e donna? Non possiamo rinunciare ad un nostro concetto
di matrimonio.

La  bozza di legge prevede poi la possibilità che
nella scuola pubblica si realizzino libere attività complementari relative alla
materia religiosa e alle sue espressioni (art. 9). Ciò presuppone tre concetti
tipici della laicità dell’indifferenza: le religioni sono assimilabili ad
espressioni culturali e come tali tutte positive e tutte arricchenti, il
cristianesimo non ha un valore pubblico particolare e la scuola pubblica deve
essere indifferente ad esso, il progetto educativo della nostra scuola è
compatibile con ogni espressione religiosa.

La bozza di legge che abbiamo qui
commentato è generica e troppo vaga. Non lo è, però, involontariamente ma
proprio perché espressione di una concezione del pluralismo religioso come
indifferenza alla diversità tra le religioni. Poiché questa ideologia si fonda proprio
sul culto della diversità, la cosa sembra almeno contraddittoria: chi celebra
il valore della diversità in quanto tale, poi approda ad una indifferenza in
cui ogni diversità viene perduta.