Libia. Con la no-fly zone tornano le coalition of the willings

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Libia. Con la no-fly zone tornano le coalition of the willings

19 Marzo 2011

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha dato ieri il via libera all’implementazione di una no-fly zone in Libia con la Risoluzione 1973. La proposta avanzata dopo qualche lungaggine dagli Stati Uniti è stata accolta con dieci voti favorevoli e le cinque astensioni di Brasile, Russia, India, Cina (le nazioni del Bric) più la Germania. Da notare il sì al documento offerto dal Libano, che sembra dettato più dall’interesse iraniano di veder uscire di scena Gheddafi che dal sostegno della Lega Araba alla no-fly zone. In realtà, l’amministrazione Obama aveva incluso la possibilità di effettuare blitz immediati contro i carri armati e contro l’artiglieria di Gheddafi, ma questa si è scontrata con l’opposizione russa e cinese.

Ora, la Risoluzione 1973 autorizza gli stati membri a predisporre attraverso le organizzazioni o altri arrangiamenti regionali “tutte le misure necessarie” per proteggere la popolazione civile della Libia nel quadro di una “no-fly zone”. Non è ancora stato deciso da chi la no-fly zone verrà implementata, ma con ogni probabilità si tratterà di una coalition of the willing incentrata sugli asset e le capacità della NATO, che ha offerto sin dall’inizio della crisi la sua disponibilità a realizzare l’operazione. L’Italia, il paese dell’Alleanza Atlantica più vicino alla Libia, ha messo a disposizione sette basi e mezzi militari subito dopo l’approvazione da parte delle commissioni esteri e difesa di Camera e Senato. Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, non ha escluso la partecipazione ad eventuali raid aerei, mentre il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha annunciato la chiusura dell’ambasciata italiana a Tripoli e sottolineato la necessità di una “rete di protezione” della NATO contro eventuali ritorsioni libiche, evocate dall’ex capo della Farnesina, Massimo D’Alema. A latere, interessante il commento al TG1 dell’ex ambasciatore italiano all’ONU, Francesco Paolo Fulci, che ha riconosciuto la lentezza del processo diplomatico che ha condotto all’approvazione della no-fly zone: “Sarebbe stato meglio se fosse stata istituita quando la situazione sul campo era di maggior equilibrio. Ma meglio tardi che mai”.

Nel resto del fronte alleato, la Polonia offrirà appoggio logistico all’operazione mentre il Canada ha annunciato che invierà sei aerei da guerra nel Mediterraneo per partecipare all’imposizione della no-fly zone. Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, dopo un colloquio telefonico con Barack Obama, ha assicurato che“gli attacchi contro le truppe di Gheddafi avverranno in tempi rapidi", una decisione condivisa dal premier britannico David Cameron; anche il Belgio è pronto a inviare nel Mediterraneo unità navali ed F16, come il premier socialista spagnolo, José Luis Zapatero. Mentre l’Unione europea si appresta ad indurire ulteriormente le sanzioni contro il regime di Tripoli (lunedì varerà misure restrittive anche contro la Noc, la società petrolifera libica, nonostante l’Eni sembri tranquilla), e anche il Qatar ha annunciato che parteciperà alla no-fly zone sulla Libia.

Passate poche ore dalla decisione della comunità internazionale di passare all’azione, il ministro degli Esteri libico, Mussa Koussa, ha dichiarato che Gheddafi avrebbe ordinato “il cessate il fuoco e fermato l’offensiva contro i ribelli”. Sempre Koussa ha aggiunto in un’intervista concessa alla tv portoghese Rtp “di condividere l’articolo della Risoluzione 1973 relativo alla protezione dei civili e all’unità territoriale della Libia e di basarsi su questo articolo per aprire tutti i canali di dialogo con chiunque sia interessato all’unità territoriale del paese”. Eppure, poco prima Gheddafi aveva risposto con queste parole belligeranti alla decisione dell’Onu: “Se il mondo è impazzito, diventeremo matti anche noi. Risponderemo. Trasformeremo la loro vita in un inferno. La Libia non ha paura”. Così, le forze lealiste hanno bombardato la città ribelle di Misurata, dove, secondo gli insorti, verranno usati i civili come scudi umani contro possibili attacchi aerei delle forze internazionali.

La guerra contro Gheddafi sembra pertanto solamente all’inizio, sebbene l’inizio della protesta che è poi scaturita nell’insurrezione in corso risalga a trenta giorni fa. Il ritardo delle organizzazioni internazionali, dovuto alle indecisioni ed alle divisioni degli stati membri in particolare a livello europeo e transatlantico, ha consentito agli uomini di Gheddafi di riconquistare gran parte delle città che erano nelle mani degli insorti, che hanno in Bengasi la loro roccaforte. Inoltre, sembra che Gheddafi sia anche riuscito a trasferire la gran parte delle contraeree e del sistema di difesa missilistico nel desertico sud della Libia dove sarà più difficile stanarlo.

Indurre Gheddafi alla resa potrebbe dunque rivelarsi impresa di non immediata realizzazione. D’altro canto, questo mese di guerra incessante ha impoverito le riserve economiche, militari e diplomatiche del raìs. Di questo sconto ne beneficerà la probabile coalition of the willing internazionale, ma solo perché il prezzo è già stato pagato dai ribelli e dalla popolazione civile.