Libia e Costa d’Avorio: le due guerre di Sarkozy per restare all’Eliseo
08 Aprile 2011
In Nord Africa e in Africa dell’Ovest, la Francia di Nicolas Sarkozy si dà tanto da fare. Non è cosa nuova che Parigi dia prova di operosità in Africa, ça va sans dire. Però era da tempo che non si vedeva tanto attivismo diplomatico e militare da parte francese. Da lunedì, solo per fare un minuto esempio, l’armée de l’air, l’aereonautica transalpina, guida operativamente due conflitti armati: quello libico e quello ivoriano. Due scacchieri diversi, come diversi sono gli obiettivi benché accomunati dall’affrancamento umanitario Onu di ‘guerra umanitaria’.
L’Eliseo insomma gioca pesante sullo scacchiere africano. I due conflitti armati nei quali i francesi si sono impelagati, servono a Parigi per raggiungere tre obiettivi strategici. Prima di tutto riaffermare la propria leadership militare e diplomatica in West Africa e in Africa del Nord. Secondariamente servono per affermare che la Germania sarà anche il polmone economico dell’Europa, ma la Francia vuole esserne l’arsenale. E in terzo luogo Parigi cerca nel guazzabuglio libico e ivoriano di creare nuove posizioni e di mantenerne di vecchie per un contenimento dell’avanzata commerciale – e politica – della Cina sul continente africano.
Ma nelle azioni del governo di Francia pesano anche fattori di politica interna. Nicolas Sarkozy – piccolo Napoleone con i tacchi rinforzati e le orecchie a punta, eletto inutilmente nel 2007 per ‘rompere’ i vizi politici e soprattutto economici della Francia colbertista- se la passa politicamente maluccio. Il presidente è molto indietro nelle previsioni di voto dei sondaggi nelle prossime presidenziali francesi 2012. Peserà un certo trend europeo: nessun governo europeo continentale, di paese demograficamente ‘maggiore’, può effettivamente ridersela di fronte ai propri sondaggi di popolarità. Anche in Germania, dove l’economia ha ripreso ad andare, la Merkel incassa batoste elettorali. Nel caso francese, però, pesa anche un altro dato: alle prossime elezioni saranno quasi 17 anni che all’Eliseo stanno presidenti di destra post-gaullisti.
Domanda: cosa c’è allora dietro la difesa manu militari dei poveri civili libici con le bombe dei Dassault – Rafale in Libia e i bombardamenti da elicottero effettuati in difesa della legalità elettorale in Costa d’Avorio contro il mezzo amico di ieri, il presidente uscente ivoriano Laurent Gbagbo, oggi sotto assedio nel suo bunker di Abidjan? Solo il solito post-colonialismo paternalistico d’oltralpe? Non è che sotto-sotto le azioni militari africane della Francia altro non sono che un tentativo sarkosista un po’ desesperé di presentarsi alle elezioni presidenziali 2012 come “président de guerre”?
Un’insinuazione non tanto peregrina questa, se si considera che non c’è sondaggio a scenari avversariali plurimi che dia l’attuale presidente francese in vantaggio sui suoi potenziali competitori. E poi c’è il nodo Front National – Marine Le Pen. I sondaggi che arrivano sui tavoli impero di Rue du Faubourg St. Honoré, danno Marine Le Pen comunque in vantaggio su Sarkozy al primo turno, con un margine, a seconda degli scenari in considerazione, di quattro o cinque punti percentuali.
Qualora Sarkozy decidesse di correre il prossimo anno, lo scenario elettorale rischia di riproporre il tragico teatrino con l’inquilino dell’Eliseo nel ruolo che fu del primo ministro uscente Lionel Jospin che nel non troppo lontano 2003, si vide scippato del secondo turno alle presidenziali da Le Pen padre, con somma incredulità socialista e immensa solennità chirachiana che racimolò al secondo turno un bulgaro 80% di voti soi-disant repubblicani.
C’è ancora tempo comunque. Sarkozy, come noto, non ha ancora annunciato la propria ricandidatura. Ed è probabile che stia cercando di capire se questo protagonismo internazionale e militare possa garantirgli la possibilità di competere per un secondo mandato al vertice della V repubblica. Giudicheremo la mossa quando sapremo se il marito di Carlà deciderà di giocarsela nonostante tutto oppure sceglierà di ritirarsi ad altre attività.
Il protagonismo della Francia, val la pena notarlo, ha coinciso anche con l’arrivo al Quai d’Orsay di Alain Juppé, chirachiano doc (le meilleur d’entre nous, come ebbe a definirlo Chirac stesso). Uomo novecentesco, altero e spocchioso, erede politico della tradizione politica nazionalista che ebbe in De Gaulle il suo ultimo grande esponente e nel suo mentore Chirac la sua più tragica caricatura.
Quando il generale lasciò il potere nel 1969, alcuni sondaggi rivelarono che ciò che i francesi più avevano apprezzato dell’azione dello ‘spilungone’ di Colombey-les-deux-Eglises (De Gaulle era alto 1,93 m), fu la sua capacità di raddrizzare l’immagine della Francia all’estero dopo l’umiliazione della seconda guerra mondiale. Esiste insomma nella pancia del popolo francese una mai sopita velleità politica di ammirarsi “grandi” nel deformante specchio della storia politica.
Una vanità che Sarkozy forse sta cercando di riattizzare con le ‘campagne umanitarie’ in Libia e in Costa d’Avorio. Le due non guerre, visto che non si può dire esplicitamente che di ‘regime change’ si tratta. Ma sì, non le si chiami guerre. Come mi disse una volta un gentiluomo inglese: “French generally lose wars”, i francesi generalmente le guerre le perdono. Sarà per questo che a Parigi non le chiamano con il loro nome. Lo faranno per scaramanzia. Ma gli scaramantici bacia Marie, non eravamo noi italiani? Nel caso francese si tratterà allora di ipocrisia, altra indubbia ‘dote’ francese.