Libia: tra Alfano e Minniti non mettere Emma Bonino

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Libia: tra Alfano e Minniti non mettere Emma Bonino

06 Luglio 2017

Grande è la confusione nel governo italiano quando si parla di Libia. Il ministro dell’interno Minniti, che sembra il più lucido, cerca di arginare una situazione ormai sfuggita di mano – con trecentomila persone pronte a partire dalla Libia verso l’Italia che andrebbero a sommarsi alle altre seicentomila sbarcate negli ultimi tre anni – ponendo con forza la questione a Tallin, in Estonia, Paese che esprime l’attuale presidenza Ue ma che fino adesso con l’Italia sui migranti ha fatto orecchie da mercante.

Mentre Minniti parla della Libia, però, il suo collega, il ministro degli esteri Alfano, insegue la chimera di un accordo con gli stati africani di provenienza dei migranti, pensando, ma non è chiaro come, che si possa impedire ai migranti stessi di passare in Libia senza prima mettere al sicuro l’ex “Jamaria” di Gheddafi, e i suoi ormai celebri ‘porosi confini meridionali’. Insomma Minniti e Alfano sulla Libia sembrano disconnessi e del resto non erano questi i piani presi all’inizio della legislatura, quando il tema era prima mettere in sicurezza le coste della Libia e poi porsi il problema dei confini a Sud del Paese e degli stati di provenienza dei migranti.

Ma non è finita. Tra Minniti e Alfano spunta Emma Bonino, già ministro degli esteri del governo Letta, che in una dichiarazione in pratica dice che dal 2014 al 2016 è stata l’Italia a chiedere che gli sbarchi dei migranti dalla Libia procedessero in grande stile, che è stato il nostro Paese a voler controllare i flussi (sic), che “l’accordo”, come lo chiama Bonino, l’abbiamo fatto noi. Noi chi? Il governo Letta finisce nel febbraio del 2014, dunque Bonino ci sta dicendo che a far saltare il banco è stato Renzi con la sua politica migratoria tutta fondata sull’accoglienza.

Intanto in Libia, il Paese che dovremmo contribuire a mettere in sicurezza, si continua a combattere e morire. Il premier Al Sarraj, sponsorizzato dall’Italia a fanfare spiegate fin dai tempi di Gentiloni ministro degli esteri di Renzi, ha un controllo sul territorio libico che si limita al parcheggio del palazzo presidenziale, come ha detto qualcuno con una felice battuta. Ci troviamo a dover recuperare in corner un qualche rapporto con l’avversario di Sarraj, il generale Haftar, armato e finanziato da quella che chiamano la “Nato Araba”, egiziani, sauditi e stati del Golfo, che ha ripulito parte del territorio libico controllato da Isis. Ieri Haftar ha espugnato Bengasi, i suoi luogotenenti promettono che le truppe del generale entreranno a Tripoli, dove c’è Serraj, il nostro beniamino, “ma non con le armi”. Messaggio che suona come un avvertimento.

Trump nei giorni scorsi ha telefonato a Gentiloni, che però non sembra cogliere l’occasione, mentre i giornaloni Usa come Foreign Policy, che invitano l’attuale presidente americano a coinvolgere il premier italiano sulla Libia, dovrebbero forse spiegare a Gentiloni e Alfano che il rapporto con l’America trumpiana è una delle poche possibilità che ha l’Italia di uscire dall’angolo. Isolati come siamo dal punto di vista internazionale, e mentre l’Europa non mostra alcuna solidarietà verso l’Italia, vedi Austria, Francia, Spagna e pure la neutrale Svizzera, tutte unite nel dire no al prendiamoci i migranti italiani, sulla Libia, il governo procede in ordine sparso, un ministro fa e l’altro disfa, mentre la Bonino si toglie un sassolone dalla scarpa inchiodando Renzi alle sue responsabilità.