Libro Bianco per un welfare della persona

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Libro Bianco per un welfare della persona

15 Marzo 2017

Oggi, in occasione del quindicesimo anniversario della morte di Marco Biagi, ADAPT – il centro studi da lui fondato – e l’associazione “Amici di Marco Biagi”, presentano un nuovo libro dedicato al “welfare della persona”: “La vita buona nella società attiva”. Pubblichiamo sulle pagine dell’Occidentale l’abstract del volume. All’evento partecipano, il presidente del Senato, Pietro Grasso; Michele Tiraboschi, ordinario di diritto del Lavoro – Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia; Maurizio Sacconi, presidente dell’Associazione ‘Amici di Marco Biagi’; Emanuele Massagli, presidente di ADAPT; Tommaso Nannicini, docente di politica economica all’Università Bocconi e Susanna Camusso, Annamaria Furlan, Carmelo Barbagallo, Maurizio Stirpe, Jole Vernola, Giorgio Merletti, Sabina Valentini e Giuliano Poletti. 

 

ADAPT, centro studi fondato da Marco Biagi, e “Amici di Marco Biagi”, associazione per la cultura riformista, hanno ritenuto di onorare la memoria dell’amico e maestro nel quindicesimo anniversario della tragica morte, sviluppandone le intuizioni con una riflessione sul modello sociale italiano al tempo della quarta rivoluzione industriale e della crisi del ceto medio. Molti degli autori hanno concorso a scrivere il Libro Bianco “La vita buona nella società attiva” prodotto dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali nel 2009 quando erano già evidenti i sintomi della grande crisi delle economie di tradizionale industrializzazione e si prospettava la insostenibilità del welfare tradizionale. Molti di quei contenuti conservano tutta la loro attualità ma nel tempo intercorso si sono prodotti cambiamenti straordinari che fanno peraltro prefigurare paradigmi nuovi delle future dinamiche economiche e sociali.

Si ripropone qui il necessario obiettivo della società attiva, a partire dalla vitalità demografica, ma il salto tecnologico come le trasformazioni geopolitiche e geoeconomiche, presentano tali caratteristiche da generare, accanto alle nuove opportunità, nuove insicurezze, nuovi squilibri, nuovi pericoli di esclusione sociale. Noi rifiutiamo il destino scontato della “fine del lavoro” o comunque di una società viziata dalla polarizzazione su pochi delle competenze e dei redditi. Tutto dipenderà dalla capacità dei decisori istituzionali e sociali, confidando che abbiano principi solidi e pensiero lungo cui informare la loro azione quotidiana. Ad essi ci rivolgiamo con questo nuovo Libro Bianco per un welfare della persona affinché non solo riescano a salvaguardare le tradizionali tutele ma si rivelino capaci di sviluppare gli istituti della sicurezza e della protezione sociale in termini tali da favorirne l’adattamento ai bisogni di ciascuno in ciascuna fase della vita. E il bisogno fondamentale da soddisfare rimane quello della attività e della possibilità di compiersi attraverso il lavoro e la famiglia in un contesto di sicurezze, dove lo stesso stato di salute ne costituisce il necessario presupposto.

Ne conseguono i primari obiettivi del riequilibrio demografico e della autosufficienza della persona attraverso la occupabilità, lo stato di salute, la libertà dal bisogno assoluto, la sicurezza nell’età di non lavoro. Si analizzano le fragilità di un modello sociale prodottosi per sedimentazioni successive, inefficace nei suoi effetti redistributivi, irrazionale nelle fonti di finanziamento, disomogeneo nel territorio nazionale, rigido nelle regole di accesso alle prestazioni, esposto non solo alla maggiore domanda indotta dalle nuove insicurezze e dai maggiori costi della innovazione scientifica e tecnologica ma soprattutto agli squilibri causati dalla denatalità e dall’allungamento dell’aspettativa di vita per cui si deteriora il rapporto tra attivi e passivi come si ridimensiona il ruolo sociale sussidiario della famiglia.

Il riequilibrio demografico costituisce quindi una drammatica emergenza e si realizza secondo un tasso di fecondità di 2,1 figli per donna. Ciò significa che le politiche pubbliche di solo sostegno materiale alla natalità, come testimoniano le esperienze di Francia e Germania, sono necessarie ma non sufficienti. Si segnala l’esigenza di un rinnovato contesto culturale di favore per la procreazione e la famiglia cui potrebbero concorrere il Piano per la Fertilità.

Adapt e Amici di Marco Biagi hanno lungamente analizzato i cambiamenti indotti dalle nuove tecnologie digitali sul mercato del lavoro. È compito dei decisori evitare l’esclusione sociale di molti attraverso investimenti sulle conoscenze, competenze e abilità di ciascuna persona, di tutte le persone. Questi presuppongono una rivoluzione intelligente dei programmi didattici, degli obiettivi formativi, delle strategie pedagogiche sulla base di una integrazione tra istruzione, formazione, lavoro. I contratti di apprendistato di tipo duale devono diventare il modo più praticato per l’ingresso nel mercato del lavoro. Ai lavoratori adulti, soprattutto quando cresciuti nelle produzioni seriali delle manifatture, deve essere rivolto un piano straordinario di alfabetizzazione digitale quale base di una formazione perpetua. I disoccupati e gli inoccupati tutti devono disporre di un assegno di ricollocazione spendibile liberamente presso il servizio di orientamento, collocamento e formazione preferito che sarà remunerato in base al risultato del reimpiego.

Le forme di sostegno al reddito non devono mai generare la “trappola della povertà o della inattività”. Per questa ragione non sono condivisibili le ipotesi di reddito di suggerito dalle nuove élite tecnologiche e finanziarie quale compensazione ad una inevitabile passività. Molto meglio un premio al lavoro, consistente in una imposta negativa tale da consentire ad un basso reddito da lavoro di raggiungere la soglia della no tax area. Ne dovrebbero essere beneficiari per un tempo limitato i giovani under 30, i lavoratori over 60, i genitori con figli minori a carico.

La tutela della salute deve fare i conti da un lato con le opportunità ed i costi della innovazione tecnologica e scientifica e, dall’altro, con l’esplosione delle malattie croniche. Considerando le buone pratiche presenti in alcune Regioni del nord si ipotizza in particolare: 1) l’integrazione socio-sanitaria-assistenziale in funzione della appropriatezza delle soluzioni ai bisogni 2) il trasferimento ad un unico fondo sociale e sanitario nazionale della indennità di accompagnamento affinché sia gestita in prossimità 3) il riparto delle risorse secondo i costi standard e la proporzione in ogni territorio tra prevenzione (5%), spedalità (46%), servizi territoriali (49%), così da indurre anche la sostituzione degli ospedali marginali con strutture per la cronicità 4) un federalismo a geometria variabile con il commissariamento delle Regioni sottoposte a piano di rientro 5) un piano per la formazione delle competenze necessarie al sistema.

La previdenza pubblica richiede maggiore flessibilità affinché, data la generalizzazione del metodo contributivo, sia possibile a ciascuno effettuare versamenti volontari propri o del datore di lavoro per coprire periodi di non lavoro o di studio. La stessa flessibilità “in uscita” può realizzarsi con modalità di sostegno al reddito nell’attesa dei requisiti di accesso alla prestazione. Vi può concorrere il datore di lavoro attraverso la deducibilità della erogazione della differenza tra NASpI e ultimo reddito e dei relativi contributi negli ultimi tre o quattro anni. L’intervento sulle età di pensione potrebbe essere temporaneamente riferito alla sola generazione adulta all’atto di entrata in vigore della riforma Monti, integrandola così con la transizione che le è mancata.

Previdenza, sanità e assistenza sono pilastri pubblici insufficienti nella dimensione attuale e ancor più in quella prospettica. Solo l’afflusso di risorse private attraverso fondi collettivi di fonte negoziale potrà garantire loro sostenibilità e adattabilità alle concrete esigenze di ciascuno. Si ipotizzano, grazie al consiglio istituzionale dell’ordine degli attuari, grandi fondi polifunzionali che integrino le tre funzioni e tutelino quote crescenti della popolazione “dalla culla alla tomba”. Vi dovrebbero aderire i familiari – e quindi i minori – come i lavoratori inattivi e i pensionati in quanto la protezione sanitaria si estende fino alla morte e si introduce la “long term care”. Idonee “passerelle” tra primo e secondo pilastro o tra le tre funzioni nel fondo dovrebbero consentire la personalizzazione delle prestazioni. Lo sviluppo dei rischi che ne consegue impone una adeguata massa critica per cui il lavoro dipendente potrebbe riunirsi in tre fondi (primario, secondario e terziario). Gli accordi aziendali possono ulteriormente integrare i due grandi pilastri. La contrattazione collettiva ha un grande terreno da coltivare!

Il finanziamento del welfare italiano deve quindi unire risorse pubbliche e private collettivamente organizzate. A questo scopo è funzionale una robusta riforma fiscale che riduca significativamente la progressività delle aliquote in modo da liberare ai redditi medi lo spazio per libere scelte, la compartecipazione di queste fasce ai costi della sanità pubblica, la riduzione delle contribuzioni (così da contenere il costo indiretto del lavoro) ovunque sono superiori alle prestazioni, un più sensibile sostegno fiscale al finanziamento e alla attività dei fondi collettivi in relazione al loro alto significato sociale.