Licenziato, uccide i suoi datori di lavoro. Fino a quando dovremo “comprendere”?

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Licenziato, uccide i suoi datori di lavoro. Fino a quando dovremo “comprendere”?

16 Maggio 2013

Le pistolettate di Preiti, il rampage del ghanese Kabobo, gli attentati a Equitalia, eccetera eccetera. Forse è sbagliato buttare tutto nello stesso calderone ma adesso dovremo "capire" anche Davide Spadari, il 36enne che è entrato in un bar di Casate (Milano), sparando all’impazzata e uccidendo i suoi ex datori di lavoro? "Mi trattavano male", ha spiegato consegnandosi alle forze dell’ordine.

L’impressione è che fatti del genere stiano aumentando, pur tenendo presente l’evidenza che gli dà la stampa e il web ricollegandoli al difficile periodo di crisi che sta attraversano il nostro Paese. Spadari ha detto che "non li sopportavo più" e come altri ha deciso di premere il grilletto. Le vittime sono un padre e un figlio, Rocco Brattalotta (47 anni) e Salvatore, un ventenne.

All’alba di giovedì, Spadari è entrato nel bar Bottazzi, l’unico di Casate. Le due vittime, titolari di una ditta di carpentieri, stavano sorseggiando il caffè e si preparavano ad andare a Milano dove lavoravano all’Expo. Una giornata come le altre, finché Spadari è entrato nel bar sparando diversi colpi di pistola mentre il padrone dell’esercizio e i clienti scappavano o cercavano rifugio sotto i tavoli. Rocco Brattalotta ha cercato di fare la stessa cosa ma è stato freddato dall’assassino. Subito dopo, quest’ultimo si è allontanato verso la Caserma dei Carabinieri pare con l’idea di costituirsi ma è stato fermato e arrestato prima dalle forze dell’ordine.

Secondo alcune testimonianze, tra i Brattalotta e Spadari c’erano vecchie ruggini e un forte rancore. Ieri, Rocco aveva invitato Spadari a non tornare più a lavoro. L’assassino non ci ha pensato due volte. Deteneva regolarmente la pistola che ha usato per uccidere. Molto si è detto in questi giorni sul condannare ma anche comprendere i motivi di gesti di disperazione, ma forse è arrivato il momento di condannarli e basta, perché la disperazione rischia di diventare l’alibi di una violenza crescente.