L’ideologia di sinistra e la cultura in mano ai “barbari”
25 Febbraio 2009
Ogni qual volta un governo di centro-destra è chiamato a governare trova, sul fronte dei beni culturali, uno stuolo di personaggi dall’alto profilo accademico pronti difendere le italiche bellezze dai “novelli barbari”. Nel 2005 la qualificazione del silenzio della Pubblica Amministrazione come assenso alle richieste del cittadino, abortì per l’opposizione delle soprintendenze archeologiche. Nell’occasione Salvatore Settis lanciò l’accusa che si volesse cementificare l’Italia: 180 giorni (sei mesi !) erano troppo pochi per poter rispondere a cittadini anche con un “no secco” che avrebbe consentito al malcapitato solo di rivolgersi al TAR. Tre anni dopo, incassato il contentino per la mancata nomina a Ministro nel governo Prodi, Settis prende spunto dalla designazione di Mario Resca a Direttore Generale per la Valorizzazione e lancia di nuovo l’anatema sperando di mantenere "settiscentrico" il mondo dei beni culturali e deviare i riflettori dai suoi veri problemi.
Gli “accademici”, arroccati a difesa dell’articolo 9 della Costituzione, discettano sulla tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico, invocando i principi cardine su cui si fonda: la conservazione e la fruizione, e si accapigliano su a quale dei due debba essere data precedenza. Nell’attesa che trovino un accordo si moltiplicano i casi in cui la diatriba è superata dalle contingenze: il patrimonio archeologico campano, soprattutto le aree degli scavi, ha per esempio imposto interventi straordinari solo per consolidare lo status quo. Oggi la diatriba rischia di creare danni più gravi perchè impalla la soluzione di affidare la tutela dell’intera Area Archeologica Centrale di Roma ad un Commissario straordinario: e questo ancorché l’evidenza del pericolo imminente per il patrimonio archeologico sia ammessa dalle stesse Soprintendenze con riferimento agli smottamenti del Palatino.
I siti archeologici sono il cuore dell’Urbe, perchè ne costituiscono la memoria storica ed il centro geografico e l’esigenza di recuperarli alla città è improcrastinabile. La divisione planimetrica delle competenze tra Stato e Comune ha, dal canto suo, prodotto una enormità di progetti elaborati, cui però è corrisposta carenza assoluta di decisioni: tutti i tentativi di ricucire il patrimonio archeologico al tessuto della Capitale si sono infranti contro un solido muro burocratico. Alcuni ritengono le “rovine di Roma” il freno allo sviluppo urbanistico di una città che aspira, sulla scorta del pensiero di Camillo Sitte, “ad offrire agli abitanti sicurezza e, insieme, felicità”. Ma sbagliano. E comunque poco importa se la situazione è dovuta alle inadempienze dello Stato verso il Comune, o viceversa, per una volta vale la pena di preoccuparsi di salvare la vittima più che di scovare il colpevole !
I poteri straordinari di cui il Commissario dispone permetteranno di sterilizzare i veti incrociati, favorire il dialogo tra le istituzioni e definire le competenze tra Stato e Comune. Tutto nel rispetto della gerarchia costituzionale degli interessi coinvolti: prima la conservazione del patrimonio poi la sua valorizzazione. Nel 2008 la recessione internazionale ha impattato sul settore turistico-culturale producendo un calo di visitatori dai numeri importanti e non c’è alternativa al far marciare la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale insieme allo sviluppo economico. Conseguentemente il nostro sistema museale e archeologico deve superare la sua vocazione autoreferenziale e di retroguardia e diventare strumento di illustrazione con funzione educativa di carattere pubblico. Evitiamo invece di inoltrarlo sul ripido pendio dell’edutainment, l’approccio attivo all’apprendimento tipicamente anglosassone, il quale, in Italia, potrebbe degenerare in circo Barnum e dare occasione di critica ai tanti John Ruskin delle Accademie nazionali.