“L’Immortale”, un poliziesco senza cuore per chi un cuore ancora ce l’ha

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“L’Immortale”, un poliziesco senza cuore per chi un cuore ancora ce l’ha

31 Ottobre 2010

Hollywood ci ha cresciuti a suon di sgommate e faide tra gangster. Stavolta però a raccontare sul grande schermo una storia criminale è il regista e attore francese Richard Berry, e lo fa con toni inconsueti e una cifra di originalità. "L’Immortale", nelle sale italiane dal 5 novembre, miscela efficacemente il poliziesco statunitense con il gusto per il pathos e l’approfondimento psicologico squisitamente francesi.

Charly Matteï, pezzo grosso della mala marsigliese ormai deciso a cambiar vita (un bravo Jean Reno), viene crivellato di colpi in un garage da un commando di otto uomini in passamontagna. Nonostante la ferocia della sparatoria, riesce incredibilmente a salvarsi, guadagnandosi l’epiteto di “Immortale”. Aveva deciso di uscire dal giro e dedicarsi alla famiglia e ad una vita senza eccessi. Ma “il sangue versato non si asciuga mai”. Così si rimette in sesto e si prende la rivincita su chi voleva farlo fuori. Un uomo che non trova pace, Charly, e che si fa giustizia attraverso un lento ma esemplare regolamento di conti.

Se non fosse che su questo intreccio s’innestano altre storie parallele, esperienze di sofferenza e solitudine che lacerano vite e conducono ad un lento silenzioso ed incessante logoramento. Ecco la “vena” francese nel poliziesco all’americana, l’occhio aperto sul mondo quotidiano, la realtà dietro l’apparenza, quel che si riesce a capire solo penetrando a fondo un personaggio. Charly, il gangster senza cuore, ha un cuore. Le sue donne, i suoi figli, la sua famiglia sono tutto ciò che gli resta. Proteggerla è la priorità assoluta, un istinto che scaturisce dal senso di colpa di averla messa sempre a rischio.

Fra i “non-protagonisti”, spicca l’interpretazione di Marina Fois nei panni dell’agente Goldman, una donna poliziotto temeraria che indaga sul tentato omicidio di Charly e sulla scia di sangue che si porta dietro. Spirito risoluto, viso corrugato e costantemente adombrato da una malcelata tristezza, è una donna che ha fatto delle avversità della vita lo sprone per essere ancora più combattiva, almeno fino a quando, stanca, la sera, si accompagna a una bottiglia di alcolici. Coinvolgente anche la colonna sonora, scandita dalle arie di Puccini. Dalla Tosca a Madama Butterfly, la lirica accompagna le vite dei protagonisti, in un crescendo di tensione che ha il suo culmine in un’aria di Donizetti. Ci si aspetterebbe un lieto fine, ma il regista preferisce lasciarci con un finale aperto. “Il mio è un mestiere strano – conclude Charly – sei condannato a restarci”.