L’imprenditore spremuto come un limone e il politico del progressismo puro e casto

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L’imprenditore spremuto come un limone e il politico del progressismo puro e casto

22 Luglio 2011

L’imprenditore sbotta coi pm: “Sono stato spremuto come un limone. Non se ne poteva più di questo convivere gomito a gomito con i dinieghi immotivati, con i ritardi, gli ostacoli della politica e della dirigenza dell’alta amministrazione. Adesso ho grande fiducia nei magistrati”. Corriere della Sera.

Un anno fa in una lettera indirizzata alle autorità locali scriveva: “Si è creata una situazione, per vivere, per lavorare, che impone di muoversi in una palude di relazioni di concussione indiretta, che si alterna, ovviamente, a momenti di aria di relazioni corruttive, che rendono il clima asfissiante in un brodo di complicità”. Libero.

Poi le ammissioni di aver raccolto nel ruolo di intermediario – sostiene lui davanti ai magistrati – per conto di un politico due miliardi di vecchie lire in Lussemburgo, inquadrando la pratica in una sorta di ‘do ut des’ tra politica e imprenditoria. Non solo: l’imprenditore considerato vicino al politico, aggiunge di aver fatto tra la metà degli anni ’90 e fino 2000, una serie di finanziamenti, per le esigenze del partito del politico in questione e in alcuni periodi di aver tirato fuori fino a cento milioni di lire al mese.

Chi è il politico? Non è Marco Milanese, deputato Pdl ed ex braccio destro di Tremonti, del quale un altro imprenditore racconta ai magistrati di soldi e regali in cambio di lavori e progetti da realizzare. Dice, cioè, le stesse cose. E non sono nemmeno i biechi affaristi filo-berlusconiani, né i politici dell’odiato, disprezzato,  centrodestra che si arricchivano spremendo, appunto, come un limone gli imprenditori di turno in cambio di ‘favori professionali’. 

Il politico è Filippo Penati, vicepresidente del consiglio  regionale della Lombardia, ex sindaco di Sesto San Giovanni, ex capo segreteria di Bersani, uomo forte del Pd a Milano, del progressismo lombardo, dei salotti radical chic, della sinistra moderata, riformista e riflessiva.  Dov’è, se c’è mai stata,  la morale intangibile, l’etica di ferro, quel sottile ma costante e stucchevole senso di superiorità antropologica, sbandierata in ogni dove dagli ex compagni con la ventiquattrore a portata di mano? Sì, ma coi soldi dentro.