L’incontro tra Lukashenko e Berlusconi può servire anche agli Usa

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L’incontro tra Lukashenko e Berlusconi può servire anche agli Usa

29 Aprile 2009

In questi giorni Alexander Lukashenko ha incontrato il premier Berlusconi. E’ stata la prima visita del presidente bielorusso in un Paese occidentale dal 1995. C’è stato un coro di critiche contro il premier – dal Corriere della Sera al Riformista – per aver dato udienza a “l’ultimo dittatore d’Europa”, una definizione coniata a suo tempo dell’ex segretario di stato americano Condoleeza Rice.

Lukashenko è al potere ininterrottamente da anni; appoggiò i golpisti avversari di Gorbaciov; ha usato l’arma del referendum per restare in sella oltre il tempo consentito; ha vinto le elezioni nel generale scetticismo degli osservatori OSCE. In Bielorussia c’è la pena di morte (400 giustiziati dagli inizi degli anni Novanta), l’opposizione ha il bavaglio e la questione dei diritti umani è una priorità. Il presidente ha lasciato l’Italia invitando i giornalisti a visitare la Bielorussia, “così potranno vedere che siamo un Paese democratico”.

Aleksander Kozulin, uno dei capi dell’opposizione bielorussa condannato a cinque anni di prigione in un processo a porte chiuse, ha commentato: "Lukashenko si trova in Italia solo per tentare di legittimare la sua dittatura". Lunedì scorso il direttore dei servizi di “Radio Free Europe” ha denunciato che il sito della emittente è stato colpito da un attacco di hacker proprio mentre stava per fornire una diretta su una protesta di piazza a Minsk che ricordava il disastro di Chernobyl.

Nonostante le critiche, il presidente in Patria ha un consenso di ferro essenzialmente per due ragioni: la prima è che appartiene a quel mondo contadino che è stato la base del potere comunista nel Paese, e in secondo luogo perché non si piegò alle privatizzazioni selvagge degli anni Novanta, difendendo con le unghie il vecchio modello statalista. Questo gli ha permesso di incassare una serie di dividendi economici positivi, nel tentativo di smarcarsi dalla pesante tutela russa.

Con il passare del tempo le potenze occidentali e l’Unione Europea hanno lentamente ammorbidito le loro posizioni nei confronti di Minsk, dopo che Lukashenko ha liberato i detenuti politici, allentato le restrizioni imposte ai giornali e all’opposizione, concesso elezioni “libere” a differenza che in passato. La mossa della Farnesina, quindi, va interpretata nel contesto più generale delle relazioni che l’Unione Europea sta cercando di stabilire con i Paesi dell’Europa Orientale.

Ieri Lukashenko ha dichiarato di non sapere ancora se “accettare o no l’invito a partecipare al prossimo summit della UE” dedicato al cosiddetto “Partenariato per l’Est”. Secondo il ministro degli esteri Frattini, in ogni caso “la visita ha avuto come obiettivo di aiutare la Bielorussia a intraprendere un percorso graduale di evoluzione democratica incoraggiando il suo progressivo avvicinamento all’Europa e ai suoi standard democratici”.

Secondo fonti della delegazione ufficiale bielorussa, l’incontro avrebbe avuto un esito costruttivo. L’Italia è stato uno dei maggiori partner commerciali di Minsk nel 2008 con spazio per Mediobanca e altri investitori (4,7 milioni di dollari d’investimenti l’anno scorso). Il nostro Paese sostiene ufficialmente l’iniziativa bielorussa di espandere la propria cooperazione con la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo. L’Italia, infine, è molto impegnata sul tema dell’assistenza umanitaria: dai “ragazzi di Chernobyl” all’ospitalità offerta agli orfani bielorussi, sono migliaia le famiglie italiane che hanno chiesto un’adozione in Bielorussia e che sperano di scavalcare i muri burocratici imposti fino ad ora dal governo di Minsk.

L’incontro tra Berlusconi e Lukashenko è stato seguito dal Dipartimento di Stato americano che valuta con attenzione (e qualche apprensione) la politica estera dell’Italia verso la Russia e i suoi alleati. Gli americani si chiedono se l’autonomia dimostrata a più riprese da Berlusconi, per esempio durante la Guerra in Georgia, sia dettata esclusivamente da questioni economiche o faccia parte di una strategia complessiva che ha per obiettivo di ritagliare al nostro Paese uno spazio di manovra più ampio in politica estera, magari contribuendo a “sbrogliare” matasse diplomatiche la cui soluzione interesserebbe anche gli Usa.

Le recenti elezioni in Bielorussia non hanno generato una situazione drammatica come negli anni scorsi o com’è accaduto di recente in Moldavia. Nel suo ultimo discorso alla nazione, Lukashenko ha chiesto agli americani: “Basta sanzioni e basta con il ricorso al linguaggio della forza. E’ ora di normalizzare i nostri rapporti”. Nello stesso tempo, però, la Bielorussia non ha messo in discussione la sua fedeltà a Mosca e sembra disponibile a riconoscere le rivendicazioni separatiste georgiane di Abcazia e Ossezia. 

A ben vedere, come suggerisce il senatore del Pdl Luigi Compagna, “il problema di questi Paesi è più la libertà che la democrazia”. Il buon galateo diplomatico tende a deprimere il primo termine (la libertà) sperando che arrivi comunque il secondo (la democrazia). A volte converrebbe maggiore franchezza su quello che accade nei Paesi con cui facciamo affari, ma d’altra parte non ci si può nascondere sempre dietro l’alibi dei diritti umani: la Cortina di Ferro non esiste più e l’obiettivo dovrebbe essere quello di trasformare le battaglie per i diritti umani in uno sviluppo concreto della democrazia.