L’inesperienza di Obama scatena la prima rivolta dei media

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L’inesperienza di Obama scatena la prima rivolta dei media

12 Febbraio 2009

Martedì è partito il "Financial Times", con un durissimo editoriale di Martin Wolf che si chiedeva se la presidenza Obama fosse "già fallita". Ieri è toccato al "Washington Post", con una delle firme di punta (Kathleen Parker), che durante la campagna elettorale non si era risparmiata nel suo incessante sostegno al candidato democratico. L’amministrazione Obama – creata, desiderata e nutrita dai media – sta forse rischiando di scomparire prematuramente per mano degli stessi media?

È sicuramente troppo presto per intonare il de profundis, ma è certo che siamo in presenza di segnali preoccupanti per il “profeta della speranza”. Se il FT, infatti, se la prende soprattutto con alcuni dettagli tecnici dello stimulus, il Post attacca Obama direttamente per la sua impreparazione e per i suoi difetti caratteriali, insinuando che i primi giorni della sua presidenza siano stati un "caso di studio sull’amatorialità".

Barack, secondo Kathleen Parker, è "sembrato debole", "non sufficientemente formato" e "smanioso di piacere a tutti". L’editorialista del WP arriva addirittura a rimpiangere "gli scarni comunicati dell’amministrazione Bush", che almeno davano la sensazione di un messaggio coerente e non improvvisato. "Il giovane senatore – scrive Kathleen Parker – è diventato presidente troppo in fretta, prima di trovare la necessaria maturità e saggezza che ciascuno impara attraverso i propri errori. Errori che sono appena iniziati".

Parole molto pesanti, che hanno provocato la sarcastica reazione di Jennifer Rubin, sul blog della rivista conservatrice Commentary. «Scusatemi – scrive la Rubin – ma dov’è la sopresa? I media, piuttosto, ci hanno sempre ripetuto che molte di queste caratteristiche erano qualità positive, per un presidente. Che eravamo stanchi dello ‘stile da cowboy’ di chi non era disposto a riconoscere i propri errori. Che non avevamo bisogno di qualcuno esperto di come vanno le cose a Washington. E che la cosa davvero importante era votare per qualcuno che fosse intelligente e sapesse affascinarci con le parole". Ora che il "sogno" si è trasformato in realtà, però, in molti sembrano avere dei (tardivi) ripensamenti.