L’infibulazione non è una vergogna solo africana ma anche europea
08 Febbraio 2011
di Souad Sbai
Sono passati otto lunghi anni da quando, con eroico coraggio e assoluta dedizione, Stella Obasanjo, faceva partire dalla Nigeria la lotta senza quartiere alla barbarie dell’infibulazione nel continente africano. E da quando Susanna Mubarak intraprendeva una guerra totale a questa pratica, proprio nel paese dove questa ebbe origine, l’Egitto dei Faraoni. Da allora molte cose sono cambiate, ma moltissimo rimane ancora da fare.
Anzi, quasi tutto, in realtà. Non sfugge la necessità di abolire questa pratica devastante in ogni paese in cui sia ancora presente. Non sfugge la sofferenza immane e terribile cui vengono sottoposte ancora oggi tantissime donne di cui nessuno parla. Non sfugge il profondo dolore per chi, come la bambina egiziana infibulata nell’agosto del 2010, ha perso la vita e attende giustizia. Parlare ancora oggi di infibulazione fa male, soprattutto a chi, come noi da sempre si batte per l’estinzione totale e definitiva di questa orrenda pratica.
Da statistiche Unicef si evince che fra 100 e 140 milioni di donne in Africa convivono con mutilazioni genitali, cui si aggiungono altri 3 milioni di bambine ogni mese, da calcolare non solo nel continente africano ma anche in Occidente. Assurdo solo a pensarsi, di primo acchito. Ma crudamente reale, purtroppo. Perché l’infibulazione non è una vergogna solo africana, ma anche europea. Il fenomeno, infatti, si verifica soprattutto in alcune fasce di immigrati che ancora si permettono, in base ad un multiculturalismo del “lasciar fare” che non esiterei a definire criminale, di sfregiare le loro bambine con questa barbarie. Bambine che diverranno donne “annullate”. Donne la cui femminilità è stata strappata con la violenza dai propri familiari. Uno scandalo di proporzioni inaudite, nel silenzio assordante di un certo settore dell’elite politica.
Faccio notare che grazie al Ministro Frattini l’Italia ha promosso importanti accordi bilaterali contro l’infibulazione, sebbene una legge che ne vietasse la pratica sia arrivata in Italia solo nel 2007 (Legge Consolo). Anche in questo frangente emerse tutta l’arretratezza culturale di chi, come alcune parlamentari di estrema sinistra, votò contro un provvedimento di portata storica fondamentale. Il rammarico fu fortissimo, misto alla rabbia per un’Europa che giustifica colpevolmente e non si cura del dramma di moltissime bambine che nascono sul suo continente. Non ci saremmo mai dovuti sobbarcare l’impegno di una legge sull’infibulazione, perché questa in Europa non sarebbe mai dovuta esistere.
È il frutto amaro del multiculturalismo europeo, che prima lascia fare indiscriminatamente e poi deve tornare indietro sui suoi passi, cospargendosi il capo di cenere. Il 6 febbraio, Giornata Mondiale contro l’Infibulazione, io credo debba essere l’occasione per far partire una riflessione ampia e condivisa su come il modello di integrazione debba prevedere limiti e paletti ben precisi, per non permettere mai più a nessuno di violare il corpo di una bambina innocente e di stuprarne il futuro.
Per far si che l’infibulazione scompaia definitivamente dal mondo, portando con sé quel lassismo criminale che è il grande colpevole del fallimento del modello multiculturale moderno.