
L’inflazione corre in tutta Europa, non solo in Italia

02 Giugno 2008
Germania 3,0%, Italia 3,6%, Spagna 4,7%, Belgio 5,2%. L’inflazione continua a correre ad un ritmo indiavolato in Europa, sulla scia della crisi petrolifera e delle turbolenze dei mercati finanziari. Non è quindi, solo l’Italia che soffre per il caro-prezzi.
Tanto inchiostro è stato sprecato per descrivere il fenomeno inflattivo che stiamo vivendo nel nostro paese. Il valore tendenziale di cui sopra è infatti il più elevato dall’agosto 1996. L’Istat, per il mese di maggio, ha registrato un aumento generale dei prezzi al consumo dello 0,5%, anche grazie al contributo degli effetti derivati dalla food crisis. Lampanti sono gli aumenti di pane (+12,9%) e pasta (+20,4%) rispetto all’anno passato.
Significativi anche gli aumenti per il settore abitativo (comprensivo dei costi energetici) e quello relativo ai trasporti, che sta subendo l’impennata del costo dei carburanti. L’Isae stima che, tuttavia, la reale variazione dei prezzi dell’ultimo trimestre su base annua sia di +4,8%, un dato che si avvicina al valore percepito dai cittadini, ben superiore al 5%.
E nel resto d’Europa, meglio non va, anzi. Chi sta soffrendo maggiormente sono i nostri cugini spagnoli, letteralmente soffocati da aumenti di ogni bene o servizio. Proprio nella penisola iberica, inoltre, si stanno anche creando le condizioni per una bolla speculativa immobiliare, come dimostrano gli aumenti nei prezzi delle abitazioni.
Sul fronte degli analisti, Morgan Stanley e Jp Morgan parlano apertamente di soglia psicologica fissata a quota 4% per la zona Euro, rinviando quindi al 2009 la riduzione del costo del denaro. La crisi inflattiva sta colpendo indistintamente le economie nazionali e cominciano a girare le voci di una possibile revisione al rialzo dei tassi di sconto nella prossima riunione della Bce. Purtroppo, la recente esperienza della Federal Reserve lo ricorda bene: spinti dall’impulsività non si fa economia, si fa solo caos. E di caos, in questa fase congiunturale, ve n’è fin troppo.
I dati che osserviamo e commentiamo con stupore devono davvero riempirci di timori? «E’ un’inflazione provocata da materie prime su cui non abbiamo nessun controllo e l’importante è evitare che si porti su tutti gli altri prodotti» ha affermato Lorenzo Bini Smaghi, executive board della Bce. Bene, cioè male, perché nessuno ha ancora compreso il significato di quelle parole: l’inflazione, attualmente, è importata, non è prodotta all’interno dell’Eurozona.
La paventata possibilità di un aumento dei tassi europei sarebbe del tutto inutile, oltre che dannosa. Si andrebbe a colpire in modo significativo una crescita economica già in difficoltà (le stime son negative per tutto il 2008), non si curerebbe la malattia che ci sta affliggendo e si provocherebbe una fase molto fastidiosa di stagflazione, con la variabile impazzita della percezione inflattiva, del tutto distorta nelle menti dei consumatori (ma non solo). Anche solo un rialzo cautelativo di un trimestre avrebbe ripercussioni disarmanti, considerato che non tutto il marcio legato ai subprime è emerso, il petrolio non ha ancora raggiunto la soglia dei 150 dollari e le speculazioni sulle commodities continuano. La soluzione è quella di sforbiciare, allora? Nemmeno, perché la base monetaria è già notevolmente ampia e correlare l’inflazione importata con quella auto-prodotta significa solo flagellarsi con un cilicio fatto di monete. Meglio mantenere lo status quo, invece che rischiare di stravolgere un mercato già debole. Non bisogna nemmeno però agire come un padre caritatevole nei confronti degli operatori finanziari. Ascoltar le loro voci, chiudendo un occhio sulle logiche di mercato, non significa iniettare fiducia, bensì iniziare la discesa verso l’oblio della sudditanza.
E l’Italia? Il nostro paese sta vivendo in modo particolare l’aumento dei prezzi al consumo. La creazione di nuovi poveri è la dimostrazione che qualcosa, nel meccanismo, si è inceppato. Si, perché da noi è vero che il valore è del 3,6%, ma non bisogna dimenticare anche le altre variabili in gioco. Salari fermi e crescita economica in sostanza azzerata non fanno altro che acuire la percezione di un sistema in declino. Le mosse proposte dal Governo sono più indirizzate nel breve periodo, rispetto al lungo, quello che deve preoccupare maggiormente. Un taglio netto e significativo alle aliquote fiscali, unito con una più corretta informazione economica ed una concreta apertura dei mercati interni, è la misura che ci si aspetta da un esecutivo che si definisce liberale.