L’ingerenza della Bce va censurata o sarà la fine della sovranità statuale
06 Ottobre 2011
La nota missiva con la quale, lo scorso 5 agosto, la Banca Centrale Europea ha formulato una serie di perentorie richieste politico-economiche al Presidente del Consiglio italiano segna una tappa significativa nel quadro della perdurante metamorfosi che da lustri investe gli Stati europei. Dai contenuti alquanto chiari ed inequivocabili della lettera è agevole, infatti, evincere l’irreversibile declino che ha interessato l’indipendenza non solo economica quanto soprattutto politica delle Nazioni europee, da ritenersi ormai, non più ambiti assoluti ed originari, bensì dimensioni derivate e relative.
Tutto questo induce ad una seria riflessione circa l’indebito ruolo assunto dal massimo organo finanziario, il quale, debordando dalle sue istituzionali prerogative esclusivamente economiche, ha in tal guisa assunto un ruolo di sovraordinazione politica in spregio alla più elementare nozione di sovranità statuale. In particolare, Jean-Claude Trichet e Mario Draghi, esulando dal loro ambito istituzionale e rivolgendosi al Capo del Governo italiano, hanno indicato una serie di obiettivi politici (seppur dai risvolti direttamente economici) da perseguire inderogabilmente, ignari tuttavia della distanza che separa e deve separare l’indefettibile sovranità di uno Stato dall’agire meramente contabilistico-finanziario di un organismo qual è la Bce.
Nessuna norma, infatti, facoltizza tale istituzione ad espletare poteri di indirizzo politico e, men che meno ad indicare, oltre ai contenuti, altresì, finanche i tempi e le modalità di applicazione delle suddette richieste. In altri termini, la Bce non può svolgere funzioni di individuazione dei fini politici da raggiungere, limite da non confondere con la prerogativa di poter formulare pareri, nei settori che rientrano nelle sue attribuzioni, in relazione a progetti di atti dell’Unione e di atti normativi a livello nazionale. L’ordinamento, quindi, ascrive all’organo europeo mere funzioni ausiliarie e non già di potere politico attivo, pena la violazione della sovranità dello Stato, in alcun modo giustificabile neanche se consumata nel contesto di una gravissima crisi finanziaria.
In verità, così non è stato, avendo la Bce, accanto ad un dettagliato novero di riforme politiche da varare (liberalizzazione dei servizi pubblici locali e professionali; riforma della contrattazione salariale collettiva; riforma delle pensioni; riduzione degli stipendi; ecc.) ha inoltre indicato addirittura tempi e modi di applicazione, esigendo in particolare che tali misure “siano prese il prima possibile per decreto legge (…) entro la fine di settembre 2011”.
Se tutto questo non subisse censura alcuna, giuridica o politica che fosse, indurrebbe a ritenere definitivamente inverata la fine della sovranità dello Stato, il quale, così, nel quadro di una dimensione ormai gerarchizzata, si rivelerebbe mero esecutore di ordini impartiti, peraltro, da un organismo sovranazionale di matrice esclusivamente finanziaria. Se così fosse, assisteremmo inerti al propagarsi di esiti devastanti per la democrazia ed, ancor più, per la libertà del popolo.
*Professore ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”