L’inquietudine di un pensatore, la decisione di un combattente

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L’inquietudine di un pensatore, la decisione di un combattente

24 Maggio 2009

Il rilievo culturale di Gianni Baget Bozzo è destinato a crescere nella considerazione di chi s’interrogherà in futuro su scenari e passaggi della nostra storia repubblicana. Sia in campo politico-culturale che in quello ecclesiastico non si potrà non tener conto delle sfide lanciate da questo testimone e combattente d’eccezione. L’aspetto relativo alla “battaglia delle idee” si coniugava in lui ad una testimonianza “carnale”, per dirla alla Peguy, uno dei suoi più amati autori. Ma sarebbe fuorviante ricondurre le sue idee e battaglie ad una cornice o panteon intellettuale: sarebbe rinchiuderlo in schemi che non gli appartenevano.

Baget Bozzo era uomo libero, in cui il pensiero scaturiva originalmente, come testimoniano i suoi libri senza note e rimandi, ma scritti in spirito di verità per comunicare intuizioni e sondare il mistero umano-divino. Ed era un libertario, se con questo termine si vuol considerare la persona indenne dal potere, anche se a portata di mano. La sua vita è costituita in gran parte di sfide controcorrente, con costi e sconfitte che lo segneranno, emarginato dai vincenti e potenti di turno, ma che mai si risolveranno in lui nel segno del rancore, e neppure della rassegnazione. Accanto all’aspetto ‘polemologico’ era in lui, agostiniano cor inquietum, quello della sete d’esperienza: del voler capire, assorbire, respirare i diversi punti di vista, alla partenza, degli altri, in qualche misura diversi, che trovava sul proprio cammino e con i quali entrava in relazione. Esperienza di umanità, che faceva il paio col desiderio d’esperienza spirituale, proprio del mistico che era in lui. Tutto ciò gli permetteva d’incrociare radicalmente storia, politica, intellectum fidei, facendo i conti volta a volta con i residui, i germi e le virtualità della cristianità, ovvero dell’ecumene che viviamo.

E’ possibile procedere per quadri, e tempi, successivi, nel delineare le evoluzioni e metamorfosi  politiche di cui Baget Bozzo si è trovato ad essere partecipe o protagonista. Per meglio capire però lo specifico di ciò occorre tener presente un centro fisso: l’idea di un uomo destinato a vivere l’eterno, in una prospettiva di divino-umanità, ed il contingente, dato dai materiali esistenti, storico-culturali, in cui ideologie e schieramenti non debbono esser considerati come gabbie fisse ma come occasioni di sperimentazione, pur nel loro valore storico. Baget Bozzo ha sempre tenuto fermo quel centro, muovendosi e ‘ruotando’, come mi confessò in un’intervista nell’84, nel terreno mobile della storia, attirando su questa sua ‘mobilità’ copiose critiche di incoerenza. Ma la storicità è mobile per definizione. Si possono ricostruire tempi e snodi del suo percorso di vita: tenterò qui un abbozzo, sfumando man mano che dalla formazione e maturità si giungerà a fasi più recenti e note del suo impegno pubblico.

Il primo tempo, tra 1945 e ’51, comprende lo sbocco di un’educazione cattolica tradizionale, ma antifascista,  sull’onda dei messaggi natalizi di Pio XII, nella resistenza, nei gruppi giovanili Dc, di cui sarà il leader intellettuale, nell’esperienza dossettiana: una sinistra sociale cristiana chiamata a rappresentare il popolo fedele nei nuovi istituti democratici. Baget è redattore di “Cronache Sociali”, ove si occupa di legittimità democratica, del comunismo e dei socialismi italiani, di De Gasperi e della Nato. E’ il più degasperiano e occidentale tra i dossettiani tanto da esser compatibile con la tavianea “Civitas”, di cui compilerà le note internazionali.

Il dossettismo entrerà in crisi nel ’51 con il leader, vicesegretario Dc, che deciderà di abbandonare il campo politico: Baget, suo uomo nell’ufficio formazione Dc, lo segue nella tesi di doversi dedicare al secondo dei due piani, quello metapolitico, rispetto a quello, il primo, pragmatico e contingente, della politica ordinaria, nel quale invece resteranno, tra gli altri, i Fanfani, Moro, Rumor, Taviani, a sostegno di De Gasperi. La prospettiva metapolitica del “secondo piano” è esposta proprio da Baget a Rossena II, il secondo incontro, primi di settembre ’51,  che sanziona l’addio di Dossetti alla politica. Ma già un mese prima a Merano, ai giovani Dc, Baget aveva parlato di “crisi” della modernità, in una prospettiva di sguardo globale. E’ l’influsso di Felice Balbo, la cui fuoruscita dal Pci è coeva alla crisi dossettiana. Baget avrà parte nel tentativo di far coesistere Dossetti e Balbo in un con-lavoro interdisciplinare, che non avrà però sviluppi per incompatibilità tematiche e personali.

Il secondo tempo, tra 1951 e ’54, vede varie esperienze in cui Balbo svolge per Baget il ruolo maieutico di esempio di ortodossia, religiosa e filosofica (in senso aristotelico-tomista), e al contempo di piena e creativa laicità: un cristianesimo teorizzato e vissuto nella storia italiana non a misura di parti e interessi immediati. Da “Cultura e Realtà”, in cui tra ’50 e ’51 si consuma il distacco dei cattolici comunisti, salvo Rodano, dal Pci, a “Terza Generazione”, nata tra giovani con appoggio di De Gasperi dopo il fallimento delle elezioni maggioritarie del 7 giugno ’53, alle sperimentazioni tra Torino operaia e La Martella contadina, nel materano. Una miriade di relazioni, conoscenze, dibattiti, sfumati quasi nel nulla. Ricordo di aver chiesto a Gianni perché, con tale potenziale non ci si era rivolti ad esempio ad un Olivetti, che avrebbe avuto gusto e forse volontà di far decollare quei progetti. “Eravamo giovani, idealisti e ingenui”, è stata la risposta.

Crisi, interruzioni, disconferme segnano il periodo successivo, prima della svolta del ’58. E’ un terzo tempo, di ritorno a Genova, di lavori sociologici per il Comune, di elezione nella tornata elettorale del ’56, in consiglio comunale, su una linea ‘laica’ però, differente da quella, per obbedienza ecclesiastica, di Dossetti a Bologna. Nell’autobiografica “Vocazione” (Rizzoli,’82; Lindau,’05) Baget parlerà della sua crisi afasica, delle delusioni per una politica di potere e piccoli cabotaggi in cui si riducevano i partiti, fino alla manifestazione, in un luogo non canonico, cioè un cinematografo, che suggerisce analogie con l’esperienza di Max Jacob, della Voce: ossia dell’esperienza mistica in forma di locuzione.

Dal 1958 al ‘62 si svolge un quarto tempo di vita di Baget Bozzo: di militanza e testimonianza nella cristianità italiana, e a difesa della chiesa, che rischia di divenire, sulla base di un maritainismo distorto che separa lo spirituale dal politico, variabile dipendente di una Dc aperturista a sinistra e secolarizzante. Tra Siri, Ottaviani e Gedda, poi accanto a Tambroni (con scritti su “Il Quotidiano”, le riviste “L’Ordine Civile” e “Lo Stato”, e i suoi due primi libri). E’ una personale revisione della storia repubblicana, in difesa della continuità sturziano-degasperiana, e non, come sostenuto da fanfaniani, lamalfiani e sinistre, di apertura al neofascismo (ho trattato questo argomento, pubblicando tre suoi discorsi politici, su “Nuova Storia Contemporanea”, 1-‘08).

1962-’78, quinto tempo: continua una linea di resistenza, nell’età del Concilio, dell’opulenza, della contestazione. Baget Bozzo si laurea in teologia, si fa prete, dirige a Genova “Renovatio”, elabora una teologia mistica che diffonde in una ristretta cerchia di amici, e riappare infine “sdoganato” da Il Mulino, col libro “Chiesa e utopia” (’71), cui segue per Vallecchi (’74 e ’77) un’ampia, e ormai classica, storia della Dc. A differenza di altri neo-cons ante-litteram, come Del Noce e Cattabiani, non prende parte al fiorire di una destra neo-tradizionalista, cui imputa caratteri gnostici, ma resta fermo sul tomismo, allargando invece lo sguardo ai padri e all’Oriente cristiano. E non condanna a priori il ’68, avvertendo in esso domande dei giovani che attendono risposte, da parte di una sinistra allora in parte ancora vitale e vivace, ma non solo da parte di essa.

Quanti tempi possono essere ancora contati, dopo di allora? Potrà sembrar strano ma le fasi, molto politiche, di “Repubblica”, di Craxi e dell’esperienza di eurodeputato socialista, ed infine di apporto creativo al Popolo della libertà, possono esser viste come uno scorrimento unitario nel magmatico flusso italiano. L’Italia del dopo Moro e la Chiesa del dopo Paolo VI. Baget Bozzo “prende parte”, e lo fa da libertario, fronteggiando il rischio egemonico di una classe dirigente “di sinistra” che, come in passato il fanfanismo, si espande per autoconservazione, dirigismo e residui ideologici. Ma accanto a questo Baget Bozzo politico, c’è l’autore ispirato di tanti libri, tra teologia, antropologia e agenda storica: vere sonde sapienziali e manifesti antiaccademici, da riscoprire e assimilare.