Se il nuovo capo dell’intelligence Usa, Dennis Blair, dice che Al Qaeda è meno forte dell’anno scorso dobbiamo credergli. Perché Blair non è tipo da trattare con il nemico. Combatteva Bin Laden prima dell’11 Settembre e ha inseguito Al Qaeda nel Sud-Est Asiatico, tra 17.000 isole pullulanti di pirati, trafficanti e terroristi.
Sembra consapevole del fatto che – se oggi il territorio americano vive in una condizione di maggiore sicurezza rispetto a dieci anni fa – lo dobbiamo a eccezioni giuridiche come il Patriot Act e l’Homeland Security. Leggi e strutture difensive che sono servite a mettere al riparo gli Usa dall’infiltrazione terrorista di cellule in grado di replicare un’azione spettacolare come quella dell’11 Settembre.
L’importante è che gente come Blair faccia presente all’imprudente Obama i rischi che si corrono a smantellare il sistema di sicurezza ereditato dalla precedente amministrazione. La priorità assoluta è che – nel nuovo corso legalistico di Obama – qualche terrorista non scappi, sfruttando le garanzie offerte dal sistema giudiziario federale americano.
E’ il caso di Said Ali al-Shihri, sospettato di aver progettato di colpire l’ambasciata americana in Yemen lo scorso settembre. Said è stato rinchiuso a Guantanamo fino al 2007, poi lo hanno mollato un attimo ed eccolo riemergere in Arabia Saudita e di là nello Yemen. Dove è diventato il capo dei quaedisti di stanza nell’estremo lembo meridionale della penisola arabica.
Va bene che Al Qaeda si è indebolita, e che rispetto a dieci anni fa gli Stati Uniti hanno ottenuto “importanti risultati in Iraq e in Pakistan”, come dice Blair. Ma anche sotto la presidenza Clinton il network terrorista sembrava meno pericoloso di quanto lo fosse realmente, e alcuni errori di valutazione, schermaglie e debolezze, permisero ad Al Qaeda di armarsi, finanziarsi e colpire.
“Bin Laden non è stato sconfitto – è sempre Blair che parla – Al Qaeda progetta di lanciare una serie di attacchi contro l’Occidente dalle sue basi europee”.
Questo secondo aspetto della questione ci riguarda direttamente. Gli islamisti considerano il nostro continente una groviera dove incontrarsi, motivarsi e partire per il martirio. Il 3 febbraio scorso, in uno dei quartieri meticci di Barcellona – il Raval – sono stati arrestati una decina tra pachistani, indiani e nigeriani, accusati di appoggiare e offrire copertura ai terroristi. Nei giorni scorsi – sempre a Barcellona – sono stati ricostruiti i passi di elementi collaterali al gruppo di fuoco di Mumbai.
Fino ad ora Bin Laden e al-Zawahiri non avevano rivendicato chiaramente gli attacchi di Mumbai – temendo di aggravare la già difficile situazione del Pakistan – ma il numero 2 di Al Qaeda in Afghanistan, Mustafa Abu al-Yazid, due giorni fa ha minacciato di attaccare nuovamente l’India se Delhi dovesse insistere con la sua politica muscolare ai danni di Islamabad.
Dal canto suo Blair è convinto che l’esperienza Karzai sia al suo epilogo, confermando la scarsa fiducia dell’amministrazione democratica verso il "sindaco di Kabul". Secondo il New York Times, Blair avrebbe definito Karzai "debole, corrotto, incapace e impopolare". Il presidente afgano si è ricandidato per le prossime elezioni ma non riesce a contrastare il risveglio talebano. Così il nemico riacquista consenso, insieme ai signori della guerra locali. Blair avrebbe riferito alla Commissione intelligence del Senato che la guerra in Afganistan può essere vinta solo mettendo in sicurezza il confine pakistano.
In questo scorcio della Quarta Guerra mondiale, l’esperienza di uomini come Blair può essere utile a Obama ma anche all’Europa. "Il mondo – disse l’ammiraglio dopo l’11/9 – deve diventare un posto poco attraente per al-Qaeda”.