L’intervento in Libia mette in luce le lacune militari europee
09 Luglio 2011
di redazione
Dopo tre mesi di guerra in Libia, alle fiduciose dichiarazioni sull’annientamento delle forze di Gheddafi ad opera della NATO si è aggiunto il timore che l’Alleanza Atlantica stia accusando la fatica di una campagna militare prolungata. Il comandante della marina inglese ha dichiarato che, se la guerra proseguisse oltre l’autunno, dovrà prendere “decisioni impegnative” sul dislocamento delle sue navi. Il suo omologo francese si è lamentato che se la sua unica portaerei, la Charles de Gaulle, continuerà a incrociare al largo della Libia per il resto dell’anno, dovrà essere posta fuori servizio per manutenzione per tutto il 2012. La Norvegia, uno dei pochi alleati pronti all’intervento, ora dice che la sua piccola forza aerea non può più sopportare un tale impegno: per adesso ridurrà le sortite, dal primo agosto le cesserà del tutto.
Ma quel che più impietosamente ha sottolineato le carenze europee è stato l’addio di Robert Gates, il segretario alla Difesa americano uscente. All’inizio della guerra in Libia, gli europei contavano su un ruolo guida dell’America; ora che il controllo delle operazioni è passato alla NATO, continuano a dipendere dall’America per l’individuazione dei bersagli e le operazioni di rifornimento in volo. Tecnici americani sono stati frettolosamente trasferiti al comando NATO di Napoli. “La più poderosa alleanza militare della storia – ha detto Gates – ha iniziato da appena undici settimane le operazioni contro un regime poco armato di una nazione scarsamente popolata, eppure diversi alleati stanno già esaurendo le munizioni e chiedono agli Stati Uniti, una volta di più, di fare la differenza”.
La ragione alla base di questi fallimenti non è certo un mistero. La maggior parte degli stati europei spende troppo poco nella difesa, e spesso spende male. Che gli europei facciano fatica, militarmente e politicamente, a mantenere decine di migliaia di soldati in Afghanistan, è comprensibile. Che stiano mostrando segni d’esaurimento in una campagna aerea che si svolge sui propri confini (peraltro meno intensa di quella del Kosovo nel 1999) suggerisce però che c’è dell’altro.
La Libia rivela un aspetto imbarazzante della NATO. La sua forza militare è determinata soprattutto da quello che l’America è disposta a fare. Senza l’America, la forza d’urto militare anche dei più potenti alleati europei, Gran Bretagna e Francia, è limitata. C’è di più, come sottolineato dallo stesso Gates: gli europei non devono dare per scontato l’impegno americano. Gates è uno degli ultimi “falchi da guerra fredda” ad aver ricoperto un incarico governativo; una nuova generazione di leader potrebbe non condividere il suo attaccamento all’Alleanza, potrebbe anzi considerarla un peso. A meno che l’Europa non faccia di più, la NATO è condannata alla “irrilevanza militare” e ad un futuro “buio e tetro”.
Le parole di Gates possono anche essere considerate come gli inevitabili mugugni di un politico sulla via della pensione. Tutte le amministrazioni USA hanno esortato l’Europa ad assumere un peso maggiore nell’alleanza. Il segretario di Stato di Eisenhower, John Foster Dulles, nel 1953 arrivò a minacciare una “dolorosa rappresaglia”. I capi americani, alla fine, tendono sempre a considerare gli europei come utili alleati in politica, meno utili se c’è da combattere. Persino l’unilateralista George Bush junior dovette venire a patti con questo stato di cose. E nel mezzo delle sofferenze irachene, i generali americani solevano citare Winston Churchill: “C’è una sola cosa peggiore che combattere con gli alleati. Combattere senza di loro”.
E’ passato diverso tempo da quando è tramontata la missione per la quale la NATO venne creata: opporsi all’Unione Sovietica. Poi è stato un continuo interrogarsi sui nuovi scopi dell’Alleanza, che però adesso ha più impegni che mai. E intanto – come osserva Kurt Volker, ex ambasciatore Usa presso la NATO – è subentrato un cambio di mentalità: “Per gli europei, NATO vuol dire America. Per l’America, vuol dire Europa. E adesso l’Alleanza non appartiene più a nessuno”. Un tale straniamento potrebbe anche peggiorare. Con la fine della guerra fredda, le preoccupazioni per la sicurezza nazionale dell’America si sono spostate dall’Europa al Medio Oriente, all’Asia meridionale e, più di recente, alla Cina. L’Europa deve prendersi cura della propria sicurezza; il suo valore risiede in quello che può offrire.
Però la crisi del debito determina tagli nei budget per la difesa europei. Solo tre stati raggiungono, attualmente, l’obiettivo NATO di spendere almeno il 2% del Pil nella difesa: Gran Bretagna, Francia e Grecia. Molti altri spendono solo l’1%, o anche meno. Spese che devono rapportarsi a quelle americane, pari al 5% del Pil. E visto che anche l’America si prepara a ridurre le spese militari, sarà ancora più dura per chi, in Europa, non fa abbastanza.
Tanti soldi, scarsi risultati
La Libia è stata un avvertimento: l’America non ha più voglia di condurre azioni militari. Anche il suo restare in seconda fila provoca critiche sul fronte interno. Il Mediterraneo meridionale dovrebbe essere un’area di importanza vitale per gli europei. Se non possono agire in quel teatro, allora perché spendono 275 miliardi di dollari nella difesa? In questi giorni d’austerità, gli europei non si metteranno certo a spendere di più. Ma potrebbero almeno risparmiare alla difesa tagli eccessivi; e potrebbero coordinarsi meglio, in modo che la NATO rimanga una forza ben equilibrata.
Adesso più che mai, gli europei hanno bisogno di tirar fuori il massimo dai loro soldi. Hanno più soldati dell’America, ma all’estero possono mandarne molti di meno. I loro bilanci sono frammentati tra una miriade di eserciti, marine e aviazioni. L’Europa produce venti diversi tipi di carri armati, sei diversi tipi di sottomarini d’attacco, tre modelli di caccia a reazione. Con il costo dell’equipaggiamento militare che cresce più velocemente dell’inflazione, le nazioni europee hanno bisogno semplicemente di trovare migliori economie di scala. Questo non vuol dire creare un esercito europeo, come qualcuno propone. Un’iniziativa del genere è la via per la paralisi: basti pensare all’idea di dover inviare una brigata franco-tedesca in Afghanistan, per non parlare della Libia. Al contrario, gli europei devono specializzarsi e, laddove fanno le stesse cose, condividere l’equipaggiamento.
Niente di tutto ciò è facile. Uno stato non vuole dipendere da un altro stato, né essere trascinato nelle guerre altrui. Alcuni stati hanno industrie nel settore difesa da sostenere. Ma la Danimarca ha rinunciato ai suoi sottomarini, e ha assunto un ruolo di primo piano in Afghanistan e in Libia. Diversi paesi condividono gli aerei da trasporto C-17. Il patto di difesa franco-inglese dell’anno scorso indica la strada da percorrere: i due paesi coopereranno, tra le altre cose, nei test nucleari, nelle operazioni aeronavali, in poco spettacolari ma vitali operazioni di supporto, e costituiranno una forza di spedizione congiunta. La morale è chiarissima: condividi, o perdi.
© The Economist
Traduzione Enrico De Simone