L’inverno del partigiano
25 Aprile 2020
“E pensò che forse un partigiano sarebbe stato come lui ritto sull’ultima collina, guardando la città e pensando lo stesso di lui e della sua notizia, la sera del giorno della sua morte. Ecco l’importante: che ne restasse sempre uno”.
“Lassú si schioccò indietro il berretto e: – Che ve n’è sembrato dell’inverno, ragazzi? – disse. – Non è stata una grande, tremenda cosa? Lo è stata, ve lo dico io, ed è la cosa della quale ci vanteremo maggiormente. Non è così? Vi vedo legnosi e intirizziti. Animo, dunque! L’inverno venturo saremo in pace, forse in una bella camera, calda a ventidue gradi, forse in vestaglia, forse in pantofole e forse, pensateci! sposati. Pensate che tragedia, che comica! – e tutti gli uomini risero altamente e strainedly. – Scommetto la testa, proseguì Nord, – che ci assalirà allora una barbara nostalgia di questo terribile inverno e piangeremo, sì piangeremo sulla sua memoria. Quindi, un evviva a questo inverno!”.
“Io sono ignorante, d’accordo, – cominciò il mugnaio, – e perché abbiamo un po’ di tempo cercherò di spiegarti perché e quanto sono ignorante. Io nacqui nell’ignoranza e ci restai allevato fino a bambino. Ma da ragazzo non ci volli rimanere, come ci restano invece tutti quelli nati e vissuti su queste alte colline, ma ci lottai contro, mi rivoltai e ci lottai contro e ancora ci lotto. Mi basti dirti che pur occupato in questo mestieraccio e vivendo in questi posti selvaggi, io non ho mai mancato di leggermi tutti i giorni il giornale, naturalmente fin quando la corriera ha funzionato e il servizio postale. Ogni volta rileggevo tre volte lo stesso foglio, per incavare idee sugli uomini e sui fatti e sul mondo”.
Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny, Einaudi 2014, pp. 392, 439, 449.