L’Iowa è stato una dimostrazione di forza del Partito Repubblicano
05 Gennaio 2012
Gran donna Michele Bachmann. Donna politica. Dopo il magrissimo risultato ottenuto nei caucus dell’Iowa ha immediatamente deciso di ritirarsi dalla corsa per la nomination Repubblicana. Il coraggio e la serietà si dimostrano nei momenti cruciali, ed è coraggioso saper quando è ora di continuare tanto quanto comprendere quando è ora di lasciare.
Inutile, dice la Bachmann, spendere tempo, denaro ed energie per proseguire lungo un vicolo cieco. Meglio, con enorme realismo, lasciar proseguire chi ha vere chance di fare bene e semmai offrire appoggio e supporto. Per il momento è sufficiente la grande testimonianza offerta fin qui in nome e in difesa di una cultura, quella conservatrice, diffusa nel popolo e capace di fare davvero la differenza, lasciando però che adesso siano altri a portarne avanti efficacemente il testimone. Evidentemente non è oggi il momento della Bachmann. Magari verrà in futuro, oppure altri destini l’attendono. Per certo, il cammino percorso non è stato uno spreco. È servito ad animare la scena, a pungolare colleghi e avversari, a rianimare il dibattito vero.
La cosa migliore che adesso la Bachmann può fare per sé, per il Paese, per l’elettorato e per chi in Iowa le ha comunque dato consenso è proseguire indomita e imperterrita facendo ciò che ha fatto sinora. Da oggi in avanti le primarie, che non risparmiano nessuno, saranno implacabili nella selezione: ne rimarrà uno solo. La Bachmann può offrire contributi importanti, suggerimenti decisivi, forze supplementari a chi necessita del suo rincalzo. Nell’agone vi sono altri candidati che possono efficacemente proseguirne il discorso epperò con maggiori forze materiali. Rick Santorum è uno, ma non è l’unico.
La Bachmann ha capito subito, e assai prima di quanto in altre stagioni abbiano fatto altri che han gettato il testimone solo inutilmente più tardi, che adesso, dopo aver sparate le proprie cartucce, conviene limitare quanto più possibile quelle divisioni che possono danneggiare tutti, ma soprattutto la causa. Da qui alla Convenzione nazionale del Partito Repubblicano che a fine agosto a Tampa, in Florida, deciderà lo sfidante che cercherà di abbattere Barack Hussein Obama il gesto, coraggioso, serio e altamente politico, compiuto dalla Bachmann oggi dovrà prima o poi essere compiuto da molti altri, al limite da tutti meno uno. Se questo gesto verrà compiuto dai suoi colleghi al momento giusto come fa lei ora, e con la stessa nobiltà d’animo, dedizione alla causa e intelligenza politica, non sarà mai una sconfitta, ma la costruzione costante e sagace di una vittoria. Una vittoria comunque vada, perché sarà stata la testimonianza di un popolo capace di fare quadrato attorno ai propri leader veri nel momento in cui la verità delle cose rende palese la loro capacità di guida. La Bachmann ha dato il buon esempio, ed è lì tutto da imitare: non troppo presto, ma nemmeno troppo tardi.
Del resto, i migliori presidenti degli Stati Uniti sono giunti alla Casa Bianca sudando lacrime e sangue, facendo la gavetta e iniziando da oscuri gregari in primarie dimenticate che li hanno bocciati anzitempo e apparentemente con “oltraggio”. Michele Marie Bachmann è donna giovane e forte, determinata e scaltra. Saprà farne grande tesoro. La cosa migliore che possono fare gli altri contendenti rimasti in lizza è tenerne conto, e il nominato Reppublicano finale, voglia Iddio che diventi presidente federale, riconoscerne pubblicamente il merito quando sarà l’ora.
Del resto, non è nemmeno vero che, come qualcuno si è troppo affrettato a dire, il giorno dopo dell’Iowa abbia già chiuso i giochi delle primarie. O che l’appassionante testa a testa che ci ha tenuti svegli la notte tra martedì e mercoledì a far zapping tra CNN e Fox News che il giorno dopo avevamo due occhiaie così, a goderci le esternazioni, i commenti e le interviste, a gongolarci del rito informale e bello di un popolo che vota senza paura del voto come se fosse una scampagnata di famiglia perché la democrazia non giacobina e la politica non illuminista sono cose fatte così, cioè il prendersi cura festanti e seri delle cose di casa propria, ora – dicevo – non è nemmeno vero che quel primo atto delle politiche USA 2012 abbia dimostrato che a opporsi a Obama c’è solo debolezza, quasi che Rick Santorum e Ron Paul dovessero chiedere scusa a lorsignori i Soloni commentatori di esistere poiché avrebbero fatto meglio a nascondersi per non indebolire Mitt Romney.
Strana l’idea di democrazia che lorsignori i Soloni commentatori coltivano. Si lamentano (si lamentano?) della sospensione della stessa a casa nostra per colpo di mano tecnocratico, tributano sempre e solo a parole lodi agli USA perché “là sanno come fare”, sostengono solo teoricamente che le primarie sono un lavacro utile a mostrare che il popolo è davvero sovrano, ma quando le primarie fanno bene il proprio mestiere come fanno negli States aggrottano le loro ciglione da puzzasottoilnasista.
La close race dell’Iowa tra Romney, Santorum e Paul, in specie quella tra Romney e Santorum, non è debolezza: è forza pura. Significa che l’elettorato Repubblicano è equamente diviso tra le sue componenti vitali, che sono cosa reale. E – finalmente, giacché non era così – nessuna di sinistra. Quello di Paul, infatti, è e resta un successo enorme, che se anche dovesse servire solo da testimonianza e pungolo avrà già fatto un effetto bomba. Per esempio l’avere cancellato quell’ironico sorrisetto da parvenu dal volto di quei so-tutto che lo descrivono come un impresentabile. C’è infatti più buon senso e linfa americana in un capillare di Ron Paul che in tutto il sistema vascolare di certi impettiti farfalloni.
L’Iowa manda infatti a dire a Obama non che il suo oppositore (che per tutti è già Romney, ma mai dire mai) è debole, ma che i suoi avversari sono legione e tutti forti (ed è qui che la Bachmann può tornare a dare manforte indispensabile). A un certo mondo di colletti bianchi,che fan sempre prima a chiamarsi fuori invece che sporcarsi le mani con la gente, dice invece che la "pancia" degli States vuole sì battere Obama, ma a modo proprio, e che quel modo si chiama Santorum o Paul, non Romney.
Ora, di tutto ciò l’elemento più bello è che, a naso, quel popolo saprà tirare la corda finche sarà lecito farlo, sapendola però mollare qualora dovesse correre il rischio di spezzarsi. Insomma, se dovesse essere alla fine Romney, il popolo dei Santorum e dei Paul sapràcertamente dare il proprio apporto qualificante. Se sarà Romney…Del resto, se sarà Romney, a noi veteroconservatori tradizionalisti cattolici incalliti (sempre grati all’editore per questo spazio di libertà che ci concede, anche semmai nella non perfetta consonanza di alcuni giudizi) un mormone amico dei banchieri come lui che sa però dare bene carne e sangue alla bandiera “Dio, patria e famiglia” andrà più che benone. E non solo in funzione anti-Obama.
Marco Respinti è presidente del Columbia Institute, direttore del Centro Studi Russell Kirk e autore di L’ora dei “Tea Party”. Diario di una rivolta americana.