L’Iran di Ahmadinejad prosegue la marcia verso il nucleare
13 Agosto 2007
di redazione
Intervista a Riccardo Redaelli di Paolo Rossi
La determinazione di Teheran nel perseguimento di capacità nucleari finora è risultata inarrestabile. Ne è prova il modo con cui gli ayatollah sono riusciti a superare ogni ostacolo legato al processo di arricchimento dell’uranio. Riccardo Redaelli, docente di “Geopolitica” presso l’Università Cattolica di Milano e direttore del programma sul Medio Oriente presso il Landau Network-Centro Volta di Como, approfondisce con l’Occidentale la questione nucleare iraniana nei suoi aspetti tecnologici.
La soluzione adottata per il reattore di Bushrer che assegna ai russi la gestione del materiale radioattivo, appare consona agli interessi delle diverse parti coinvolte. Da un lato, l’Iran raggiungerebbe la capacità di produrre energia nucleare a scopi civili e l’orgoglio persiano ne uscirebbe rafforzato. Dall’altro, la comunità internazionale dormirebbe sonni tranquilli, forte del ruolo di garante svolto dalla Russia. Tuttavia c’è qualcosa che non quadra. Se l’Iran ha deciso di seguire questa strada, perché sta cercando di approvvigionarsi di uranio sul mercato clandestino?
Riguardo al nucleare iraniano bisogna distinguere tra il nucleare civile e il processo di arricchimento dell’uranio. Nella centrale di Bushrer, il processo di gestione del materiale combustibile è affidato ai russi, ma il suddetto impianto costituisce soltanto un tassello nell’ampio mosaico nucleare che l’Iran sta cercando di mettere insieme attraverso la progettazione e la realizzazione di numerose centrali. Questa soluzione rappresenta l’unico modo di portare avanti il progetto ambizioso di sostituire il nucleare agli idrocarburi sul mercato interno, consentendo così a Teheran di ampliare la quota di idrocarburi destinata all’esportazione. Tra l’altro gli iraniani dispongono di poco uranio naturale tra le proprie risorse.
Fonti dell’AIEA riportano come nell’impianto in costruzione a Natanz siano state collegate più di mille centrifughe a cascata per la produzione di uranio arricchito. Trattare l’esafluoruro di uranio (UF6) nelle centrifughe è uno dei metodi più adoperati per la produzione di materiale fissile bombabile. Il sito di Natanz è stato progettato per ospitare decine di migliaia di centrifughe e va inoltre osservato che per produrre uranio combustibile è sufficiente arrivare ad un grado di arricchimento del 3 o 4%. Non pensa che una simile soluzione basti già a smentire la presunta pacificità delle ambizioni nucleari iraniane?
Il cuore del problema è costituito dall’arricchimento. Ci sono paesi che possiedono numerose centrali nucleari, ma non hanno attivato alcun processo di arricchimento. L’uranio arricchito tra il 90 e il 98% è quello che consente di realizzare il materiale bombabile da inserire nelle testate nucleari. Da un punto di vista economico, non avendo ancora una centrale avviata, per l’Iran non ha alcun senso produrre uranio debolmente arricchito perché conviene molto di più acquistare questo minerale dai consorzi internazionali. L’Iran si giustifica dicendo che rappresenta un grosso successo riuscire ad acquisire il know-how necessario a realizzare tale processo e rappresenta anche un motivo d’orgoglio in termini di prestigio nazionale.
A che punto si trova lo sviluppo delle centrifughe nel processo di arricchimento dell’uranio?
Gli iraniani hanno avuto sempre grandi difficoltà ad assemblare le centrifughe, ma pare che ultimamente questo problema sia stato risolto. Attualmente fanno girare a basso regime diverse cascate, ma tuttavia si ignora se queste centrifughe siano o meno collegate. Se non lo sono il ciclo non si chiude e il processo serve a ben poco. L’ultimo rapporto dell’AIEA conferma l’esistenza delle centrifughe in funzione, ma non specifica se queste siano collegate o meno. E’ noto che gli iraniani fanno girare le centrifughe a un basso regime di spin, perché a causa delle sanzioni hanno problemi nell’acquisizione di metalli e leghe particolari che servono a garantire l’efficienza del processo. Nelle centrali iraniane si è cercato di ovviare al problema attraverso la realizzazione di centrifughe in alluminio, che tuttavia è un metallo molto meno resistente. Rimane il fatto che Teheran, con grande tenacia, si sta dimostrando in grado di superare questi ostacoli e potrebbe giungere all’ambizioso obiettivo entro fine anno di collegare ottomila centrifughe. Che sono tante. Comunque, manca la prova – la cosiddetta “smoking gun” – che l’Iran voglia sviluppare un programma nucleare militare. Molti elementi lo farebbero supporre, ma non si ha la certezza. Si dovrebbe trovare un accordo, ma tuttavia trovare un accordo con Ahmadinejad alla guida del paese è estremamente difficile. Altro problema che i negoziatori hanno in agenda è che l’Iran ha ormai acquisito la capacità di arricchire l’uranio. Ma mentre fino al 2005 gli iraniani si sarebbero accontentati di 20 centrifughe per l’arricchimento, adesso non è più così. Per cui il non esser stati in grado di pervenire ad un accordo su quella base è stato realmente un errore. Al momento l’unica soluzione possibile a livello pratico per arrestare lo sviluppo del programma sarebbe quella di bombardare i siti nucleari iraniani. Ciò dà adito a numerosi problemi, il primo è quello di trovare qualcuno che abbia la volontà e le capacità tecniche di sferrare un simile attacco. In secondo luogo, bisognerebbe individuare i siti in maniera precisa. Si prenda il caso di Esfahan, i laboratori di ricerca si trovano al di sotto dell’università; bombardare il sito significherebbe bombardare l’università e ovviamente coloro che vi si trovano dentro.
Recentemente alcuni stati del Medio Oriente e del Golfo, tra cui Siria, Arabia Saudita e Yemen, hanno presentato domanda all’AIEA per ottenere l’autorizzazione a sviluppare un proprio programma atomico civile. L’idea di un EURATOM del Medio Oriente, con la partecipazione dello stesso Iran, potrebbe essere una buona soluzione per prevenire il rischio della proliferazione nucleare nell’area?
I paesi arabi hanno un organismo all’interno della Lega Araba, chiamato Agenzia Araba per l’Energia Atomica (AAEA) che dovrebbe svolgere funzioni analoghe a quelle dell’AIEA. Ha sede a Tunisi, ma concretamente non svolge alcuna funzione di particolare rilievo. Tuttavia, il fatto che l’Iran persegua inarrestabilmente l’obiettivo della completa indipendenza nel completamento del ciclo nucleare, ha determinato un rinnovato interesse dei paesi arabi verso gli studi nel settore atomico. Attualmente i soli paesi che possono davvero nutrire ambizioni nucleari sono l’Egitto e l’Arabia Saudita; l’una in virtù di alcuni programmi sul nucleare già condotti in passato, l’altra in ragione della sua ingente ricchezza economica. Ma considerate le relazioni politiche tra i due paesi appare quantomeno inverosimile una possibilità di collaborazione in tal senso. L’unica strada oggi percorribile è quella di riunire tutti i paesi interessati in un consorzio mediorientale per l’energia atomica, in modo che lo stesso sotto la supervisione dell’AIEA possa portare avanti il suo lavoro in modo da non destare alcun sospetto. I membri del consorzio si dividerebbero gli oneri della contribuzione rispetto al know-how che gia possiedono insieme alle risorse economiche da investire nel programma.
Nel corso delle ultime elezioni per il rinnovo dell’Assemblea degli Esperti si è assistito alla sconfitta degli ultraradicali capeggiati da Mesbah-Yazdi. Ritiene che possa essere un primo passo verso una normalizzazione dei rapporti tra l’Iran e l’Occidente?
Non credo che si possa definire in questo modo. Gli ultraradicali godono in Iran di un consenso stimato tra il 15 e il 25%, a seconda del periodo di riferimento. Nonostante siano nelle simpatie di qualche ayatollah, le roccaforti del loro consenso vanno ricercate negli strati più popolari della popolazione iraniana che intravedono negli ultraradicali una possibilità di rivalsa e affermazione sociale. Sono stati proprio questi ad aver contribuito in maniera determinante all’elezione di Ahmadinejad grazie al voto di protesta. Tuttavia, in condizioni politiche normali non possiedono un peso specifico tale da poter risultare determinanti nell’agone politico iraniano.