L’Iran e la guerra contro l’Occidente: riconoscere il Male per sconfiggerlo

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L’Iran e la guerra contro l’Occidente: riconoscere il Male per sconfiggerlo

14 Novembre 2009

Nel suo ultimo libro, Complice del male – L’Iran e la guerra contro l’Occidente, Michael Ledeen espone il tema centrale con una citazione dal “Giocatore generoso” di Baudelaire. “Il demonio mi confessò di aver temuto un’unica volta per il proprio potere, il giorno in cui aveva sentito un predicatore … esclamare dal pulpito: ‘Miei cari fratelli, quando sentirete vantare il progresso dei lumi, non dimenticate mai che la più bella astuzia del diavolo è convincervi che lui non esiste’”.

Ledeen ritiene che sia precisamente questo il problema nel nostro rapporto con l’Iran e con gli estremisti del Medio Oriente. I quali apertamente giurano che ci distruggeranno, come avevano già fatto i nazisti, i fascisti e i comunisti che li hanno preceduti nel ventesimo secolo. A tale scopo – scrive Ledeen – hanno attivamente fornito armi e addestramento ai ribelli afgani e iracheni, soprattutto le sempre più sofisticate roadside bombs, le bombe che vengono collocate sul ciglio della strada, ormai divenute le armi preferite degli insorti. La nostra reazione – afferma Ledeen – quella che è sempre stata nel corso degli anni, è parlare senza ascoltare, sentire solo ciò che si vuol sentire.

Molto più spesso – aggiunge – “noi sottovalutiamo le implicazioni e le conseguenze delle loro parole, come se fossero nulla più che una qualche versione araba o islamica della ‘politica’, pensata per il consumo interno e programmata per conseguire obiettivi nazionali”.

Ma questo – fa notare Ledeen – è proprio ciò che è accaduto con Hitler, Stalin e Mussolini, nonché una delle ragioni per cui la nostra vittoria nella seconda guerra mondiale ha avuto un margine piuttosto stretto, molto più stretto di quanto non sarebbe stato se avessimo ascoltato – e sentito – quel che dicevano. Tra parentesi, Mr. Ledeen, nel ricordarci quanto la stampa possa essere implicata in tutto questo, passa in rassegna i casi di giornalisti come Walter Duranty, l’uomo del New York Times a Mosca, un apologeta di Stalin che definiva “propaganda maligna” i resoconti sulla carestia in Unione Sovietica, o un altro del New York Times, Herbert Matthews, cantore sia di Mussolini che di Fidel Castro.

“Così, abbiamo ancora bisogno di farci la stessa vecchia domanda. Perché non riusciamo a vedere il crescente potere dei nostri malvagi nemici? Perché li trattiamo alla stregua di normali uomini politici come fanno i leader occidentali quando conducono trattative … con un regime che ogni giorno chiede il nostro annientamento?”. La risposta è breve, ed è quella di Baudelaire: “Ci confortiamo con pensieri felici sulla natura umana e cadiamo preda dell’astuzia del demonio che ci abbindola e ci convince che lui non esiste”.

Ledeen organizza la propria tesi in quattro capitoli, tutti dai titoli molto esaustivi: “Non vedo e non parlo”, “Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere”, “Vedere il male” e “Sconfiggere il male”. Nella sezione conclusiva, intitolata “L’Iran e la guerra contro l’Occidente”, fa notare come negli ultimi trent’anni varie amministrazioni americane abbiano tentato di raggiungere un compromesso con l’Iran su varie questioni, per ultima quella sullo sviluppo del nucleare. Dall’altra parte, l’Iran appoggia i negoziati a parole e al tempo stesso non smette di chiedere la pelle del “Grande Satana”. E di sostenere tale richiesta appoggiando il terrorismo islamico più radicale.

Ledeen illustra una serie di azioni che è possibile intraprendere, allo scoperto o in segreto, per contrastare la minaccia. Eppure, nulla è più importante di un “aperto sostegno politico da parte delle più alte sfere americane” per quegli iraniani tanto coraggiosi da resistere al regime e chiedere le più elementari libertà umane e una voce in capitolo con il proprio governo.

Scrive: “Abbiamo l’obbligo morale e strategico di sostenere chi nelle società oppressive combatte per la libertà. È moralmente giusto e strategicamente saggio”. Cosa implica un appoggio del genere? “Fondamentalmente la stessa strategia che abbiamo usato per sostenere dissidenti sovietici e gruppi come il sindacato ‘Solidarietà’ in Polonia”.

E conclude: “A qualche presidente americano toccherà invocare la fine del fascismo islamico iraniano”.

Ledeen ha scritto molto e in modo assai eloquente sull’estremismo politico, sul terrorismo e sul ruolo degli Stati Uniti nel mondo. Aveva previsto con precisione i brogli nelle elezioni iraniane della scorsa estate ed è stato denunciato sulla prima pagina del principale quotidiano governativo iraniano, mentre negli Stati Uniti di norma viene attaccato dagli accomodanti liberal. Quali che siano le basi dei loro attacchi, non dovrebbe esserci tuttavia alcun dubbio sul suo profondo patriottismo e senso del dovere.

Mr. Ledeen è un uomo la cui vita coincide con le sue parole. Nei riconoscimenti del libro rende merito ai propri figli: “La nostra ormai è una famiglia militare. Simone ha passato molti mesi in Iraq e in Afghanistan per i ministeri della Difesa e del Tesoro, Gabriel è stato dislocato per due volte nella provincia di Anbar con i Marines. È un onore avere figli così”.

E di certo lo è, come è pure un grande tributo ai loro genitori.

© Washington Times
Traduzione Andrea Di Nino