L’Iran festeggia il 2008 e mette il bavaglio a Shirin Ebadi
23 Dicembre 2008
Un vero e proprio raid, con tanto di perquisizioni e interrogatori. Obiettivo della polizia iraniana, l’attivista Shirin Ebadi e il suo Circolo dei difensori dei diritti umani. La donna, premio Nobel per la Pace, è stata fermata per un breve interrogatorio; alla sede della sua associazione – un faro per dissidenti e perseguitati di Teheran – sono stati posti i sigilli. Immediate le reazioni della comunità internazionale: parole di dura condanna sono giunte tanto dagli Stati Uniti quanto dall’Unione Europea. A Roma, il presidente della Commissione diritti umani del Senato Pietro Marcenaro ha convocato una riunione d’urgenza: la situazione, ci ha detto al termine della riunione, "è molto grave e seria".
I fatti. Domenica 21 dicembre, nel pomeriggio, decine di funzionari della sicurezza iraniani hanno bloccato il quartiere dove si trova il Circolo dei difensori dei diritti umani, fondato dal premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi nel 2000. Narges Mohammadi, vicepresidente del Circolo, racconta che dozzine di poliziotti – inclusi agenti in borghese – hanno fatto irruzione senza presentare alcun mandato di perquisizione: "Un poliziotto mi ha detto di non dover mostrare nulla in quanto indossava una divisa". Secondo i testimoni, nessun attivista sarebbe stato arrestato: il Circolo, però, è stato chiuso a tempo indeterminato. Secondo l’agenzia semi-ufficiale Mehr, "il centro operava come un partito senza averne l’autorizzazione, aveva contatti illegali con organizzazioni locali e straniere e aveva illegalmente promosso conferenze stampa e seminari".
Accuse chiaramente pretestuose. Ma Shirin Ebadi, raggiunta telefonicamente dalla France Presse dopo il sequestro, non si arrende: "Chiaramente questa mossa del regime non è un messaggio positivo per gli altri attivisti dell’Iran, ma io e i miei colleghi andremo avanti in ogni circostanza". A preoccupare, ora, è la possibile fabbricazione di prove false: "Non è stato fatto alcun inventario prima di mettere i sigilli e, quindi, dichiaro già da adesso che le autorità potrebbero fabbricare prove false mettendo documenti e oggetti incriminanti che non si trovavano nell’Ufficio prima della loro irruzione". La tempistica del raid, come hanno lasciato intendere gli attivisti, non è casuale: poche ore dopo il Circolo avrebbe festeggiato il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani con il dissidente politico Taghi Rahmani, che dal 1979 ad oggi ha trascorso 14 anni in carcere. Pochi giorni prima, inoltre, Shirin Ebadi era intervenuta in un forum delle Nazioni Unite a Ginevra condannando lo stato dei diritti umani in Iran e in altri regimi islamici.
La chiusura del Circolo della Ebadi segna il culmine di un anno drammatico per la Repubblica iraniana: la sensazione è che colpendo un premio Nobel il regime abbia voluto dare un segno a tutti gli altri dissidenti e attivisti del Paese. Shirin Ebadi, del resto, è davvero un simbolo internazionale nella lotta per la difesa dei diritti umani: nata ad Hamedan nel 1947, nel 1975 diventa il primo giudice donna nella storia dell’Iran. La sua lotta contro il regime comincia nel 1979: a seguito alla Rivoluzione Islamica, infatti, tutte le donne giudice devono abbandonare la carica. Un’imposizione che Shirin Ebadi non ha mai accettato. Dopo anni di proteste, racconta, "nel 1992 ho finalmente ottenuto la licenza da avvocato e ho messo su il mio studio": comincia qui il suo impegno a favore dei dissidenti e dei condannati a morte. Una passione presto incarnata dal Circolo dei difensori dei diritti umani. Nel 2003 l’Accademia di Svezia le conferisce il Nobel "per il suo impegno a favore della democrazia e dei diritti umani": è allora che il suo nome diventa un simbolo di libertà per i dissidenti di tutto il mondo.
Ma cosa accadrà ora al Circolo dei difensori dei diritti umani? Difficile dirlo. Il governo potrebbe bloccarlo fino alle elezioni del giugno 2009, chiudendo così la bocca a una donna che già nel 1997 aveva sostenuto il riformatore Kathami. Da tutto l’Occidente, intanto, si moltiplicano appelli e proteste. Il ministro degli Esteri francese Kouchner, a nome dell’Unione Europea, "condanna con assoluta fermezza e vigore la chiusura degli uffici del Circolo da parte della polizia iraniana" e chiede inoltre "che all’associazione venga conferito quello status di legalità richiesto da troppi anni". E se condanne sono giunte tanto dal ministro degli Esteri Frattini quanto dal suo omologo ombra Fassino, il senatore del Partito Democratico Pietro Marcenaro – presidente della Commissione diritti umani del Senato – ha indetto ieri pomeriggio una riunione d’emergenza per il fare il punto della situazione.
Raggiunto telefonicamente in serata, Marcenaro ci parla di "una situazione molto grave e seria": lo stato d’animo espresso dalla Commissione diritti umani è di "fortissima preoccupazione". E non solo per il caso di Shirin Ebadi: il raid al Circolo dei difensori dei diritti umani si colloca in un quadro che ha visto, nel giro di poche ore, "l’impiccagione di cinque cittadini iraniani, uno dei quali condannato per diffusione di idee superstiziose". Dunque, "per un reato d’opinione". Le iniziative emerse dalla riunione straordinaria della Commissione si muovono su più canali. Primo: "Abbiamo chiesto al governo" spiega il senatore "di farsi sentire per via diplomatica attraverso la rappresentanza italiana a Teheran". Secondo: "Abbiamo messo in luce la necessità di un’azione concertata a livello di Unione Europea, per richiedere l’immediata riapertura del Circolo della Ebadi". Terzo: "La Commissione si appella infine ai gruppi e alle forze politiche riformiste, che si professano contrarie alle politiche dell’attuale amministrazione iraniana. Bene, questo è il momento di far sentire la loro voce con fermezza".
Di notizie fresche dopo la chiusura del Circolo della Ebadi, conferma Marcenaro, non ce ne sono. E forse, riflette il senatore, "non sapremo mai cosa è accaduto nei dettagli": la sensazione, comunque, è che "si tratti di una decisione del governo e delle autorità iraniane". Ma – conclude il presidente della Commissione – se anche dietro all’iniziativa vi fossero "squadracce" non direttamente legate ai vertici, questo non ridimensionerebbe le responsabilità governative che "tollerano o addirittura promuovono le azioni di tali gruppi". L’Iran, intanto, respinge le accuse: le politiche occidentali, secondo il regime, sono "ipocrite" e "basate su metri diversi".