L’Iran resta una minaccia nel grande gioco diplomatico del MO

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L’Iran resta una minaccia nel grande gioco diplomatico del MO

L’Iran resta una minaccia nel grande gioco diplomatico del MO

26 Novembre 2010

Le dichiarazioni del Ministro Frattini rilasciate l’altro ieri a Gerusalemme sulla possibile mediazione diplomatica italiana per favorire il riavvicinamento tra Israele e Turchia e, al tempo stesso, auspicare un ruolo di Ankara come intermediario tra Siria ed Israele, impongono alcune riflessioni sull’intero contesto mediorientale. 

A partire dalla perdurante minaccia iraniana ad Israele corroborata dall’aperto sostegno di Teheran agli oltranzisti libanesi di Hezbollah. Per arrivare al ruolo sin qui svolto dalla Siria, canale privilegiato dell’attuale regime di Ahmadinejad per il sostegno armato ai nemici libanesi di Tel Aviv e dell’odiato asse sionista-americano.  

Il punto da cui partire è la pericolosità del programma nucleare iraniano non solo nello scacchiere mediorientale, ma persino per quei Paesi dell’Europa (fra cui l’Italia) che hanno appoggiato le sanzioni internazionali all’Iran, come non a caso rilevava per primo l’ambasciatore israeliano in Italia, Gideon Meir. Tale resta la situazione, almeno fino al momento in cui da Teheran non giungeranno convincenti rassicurazioni sull’uso non bellico dell’arrichimento dell’uranio, più volte richieste dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Ad oggi, gli unici interlocutori di Teheran con il resto del mondo su questo delicatissimo argomento sono stati solo la Turchia ed il Brasile. Da questo sostanziale isolamento internazionale dell’Iran dovranno necessariamente partire i buoni uffici offerti a Natanyahu dal titolare della Farnesina. Come pure dal fatto che della situazione di pressoché totale isolamento internazionale di Teheran, è prima di tutto la società civile iraniana a soffrire (e non sappiamo fino a quando potrà farlo), dato che l’intera economia iraniana è in stato di crisi. Checché ne dicano le fonti ufficiali della propaganda di Stato.

Secondo il Fondo Monetario Internazionale, il tasso di crescita di Teheran nel 2010 è indicizzabile al 1,6 %, con un andamento anemico non dissimile da quello degli anni precedenti: 1,1 % nel 2009 e 1 % nel 2008, con uno scatto al 7,8 % solo nel 2007.

La domanda che ci poniamo (e che prelimininarmente dovrebbe porsi qualsiasi serio interlocutore che decida di sedersi ad un tavolo negoziale multilaterale) è questa: a che serve dotarsi di armamenti nucleari ad un Paese in cui un quarto della popolazione, principalmente giovanile, è disoccupata?

Anziché tentare di risollevare le disastrate condizioni economico-sociali del Paese, insistere nel lanciare minacce ad Israele o arrivare a negare l’Olocausto (come ha fatto ancora di recente Ahmadinejad a Beirut), servirà a ben poco sia a Teheran che ai suoi pochi interlocutori internazionali. La maggior parte del mondo si è pronunciata contro simili aberrazioni.

Come pure occorrerà tener conto, prima di avviare ad Ankara o a Damasco qualche tentativo concreto di sbloccare l’attuale stallo negoziale per far uscire l’Iran dall’isolamento in cui versa, che il tentativo, a suo tempo annunciato dall’Ayatollah Komehini (e raccolto da Ahmadinejad), di esportare la rivoluzione da Teheran nei Paesi islamici vicini, sono stati gli stessi correligionari arabi ad osteggiare per primi.