L’Iran sperimenta un nuovo missile e Israele si prepara a reagire

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L’Iran sperimenta un nuovo missile e Israele si prepara a reagire

21 Maggio 2009

Ieri l’Iran ha testato il nuovo missile balistico Sejil 2. Il test è stato giudicato da molti come una provocazione, proprio quando il sipario sull’incontro di Washington tra Netanyahu ed il presidente americano Obama si era appena chiuso. Il missile, un’evoluzione con diverse migliorie dello Shahab 3, è in grado di colpire Israele e, pare, anche l’Europa del Sud. Si ripropone così il problema delle intenzioni iraniane e dei programmi militari che il Paese sta portando avanti in barba alle pressioni internazionali. Da Washington sono arrivate reazioni molto dure e si è parlato di un “passo nella direzione sbagliata”, e di pazienza non “infinita”, mentre il nostro ministro degli Esteri Frattini, già con la valigia in mano, ha annullato la sua programmata visita in Iran.

Insomma, Ahmadinejad ha sparigliato ancora una volta le carte. Eppure, il lavorio diplomatico in corso da mesi per tentare di avviare un dialogo con Teheran su tutte le questioni sul tavolo – dalla stabilizzazione dell’Afghanistan, al nucleare ed oltre – faceva ben sperare. La visita di Frattini, la prima di un ministro degli Esteri occidentale in quattro anni, doveva portare a compimento questo processo e verificare il terreno per ulteriori aperture. Soprattutto alla luce del nuovo approccio da diplomazia diretta verso Teheran predicato dal presidente Obama, visto che la visita di Frattini a Teheran aveva ricevuto da tempo la benedizione della Casa Bianca. Con il lancio del missile adesso si richiude tutto.

Sulle motivazioni della provocazione si è già parlato molto. Lancio “elettorale” usato a fini interni, per far impennare il consenso del presidente attualmente in carica, o ennesimo messaggio per raffreddare i pruriti israeliani di attacco preventivo.

Le dichiarazioni ufficiali delle autorità iraniane hanno parlato di lancio deterrente. In realtà, queste provocazioni producono l’effetto contrario e non fanno altro che aumentare il senso di urgenza israeliano circa il crescere della minaccia iraniana. Anche perché il nuovo Governo Netanyahu non sembra disponibile a tirare la questione troppo per le lunghe. Già una volta Israele è stato costretto a fermare i propri aerei, quando questi erano già pronti a colpire Busher e Natanz, per le pressioni della Casa Bianca. Il presidente Bush non se la sentì di dare il suo via libera al premier Olmert che già sognava di ripetere con l’Iran il successo avuto con la Siria quando nel settembre 2007, un raid israeliano, rimasto segreto per mesi, incenerì il primo reattore nucleare siriano in costruzione con l’assistenza nordcoreana.

Adesso i termini della questione sono decisamente cambiati. Tra Washington e Gerusalemme regna l’incomprensione sulle questioni di politica estera. La visita di Netanyahu non ha contribuito ad allentare la cortina di freddezza che da mesi è calata sulle relazioni tra i due storici alleati. Le cause degli attriti, allargatisi adesso anche alla questione del dialogo con i palestinesi, riguardano proprio l’Iran. A Gerusalemme non piace l’approccio attendista adottato dagli americani con Teheran sin dall’ultimo periodo della presidenza Bush e rinnovato anche da Obama che, anzi, con l’Iran è deciso ad andare oltre giocando la carta degli incentivi e di un approccio diplomatico diretto.

Per questo i propositi militari israeliani si fanno sempre più concreti. Ma Israele avrebbe veramente la capacità di azzerare il programma nucleare iraniano con un attacco aereo e missilistico? La questione è molto complessa perché solleva interrogativi tecnici circa le rispettive capacità militari e operative che non è facile valutare con precisione. Lo scorso marzo ci ha provato l’autorevole think thank di Washington CSIS (Center for Strategic and International Studies) con un interessante rapporto a firma Antony Cordesman, uno dei massimi esperti americani di questioni strategico-militari, ed il bravissimo analista, specialista di Medio Oriente, Abdullah Toukan. Per l’Occidentale cercheremo anche noi di analizzare con una serie di articoli di prossima pubblicazione la questione prendendo spunto proprio dal report del CSIS.