L’Iran va in orbita ma il regime continua a perdere consensi
14 Febbraio 2009
La scorsa settimana l’Iran ha messo in orbita il suo satellite per le telecomunicazioni. I funzionari statunitensi alla Casa Bianca, al dipartimento di Stato e al Pentagono non hanno certo sbagliato nel far presente che l’accaduto è la dimostrazione di come ora i mullah siano arrivati a padroneggiare la tecnologia necessaria per lanciare missili balistici intercontinentali. Ma i signori del terrore lì a Teheran sono convinti che il satellite abbia un significato ancora più importante, che costituisca un ulteriore passo verso il ritorno del messia sciita, il Mahdi, il dodicesimo imam da tanto tempo nascosto.
Un gran numero di leader iraniani crede che il dodicesimo imam ritornerà negli Ultimi Giorni, che saranno segnati da conflitto e caos globali, alla fine dei quali i credenti musulmani avranno conquistato gli infedeli e i mullah comanderanno il mondo. Secondo i testi medievali sciiti, il messaggio che annuncerà il ritorno del Mahdi sarà portato ai quattro angoli del mondo in modo che nessuno potrà dire che non sapeva che gli Ultimi Giorni sarebbero presto arrivati.
Quel che inquieta è che al vettore che ha portato il satellite per le telecomunicazioni nello spazio è stato dato il nome di “Safir” (messaggio). Il satellite è stato chiamato “Omid” (speranza). Possiamo aspettarci, entro breve tempo, di sentire il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad annunciare l’imminente ritorno del Mahdi. Lo stesso Ahmadinejad ha già provveduto a definire il lancio come un “evento sacro”. Questi fedeli vedono il lancio di Omid come il compimento della profezia del Mahdi.
Ma costoro vedono anche altri presagi. Gli antichi testi sciiti prevedono che, appena prima del ritorno del Mahdi, i mari diventeranno rossi di sangue e -guarda un po’ – alcuni giornali iraniani riferiscono di una rapida diffusione di alghe color rosso nel Golfo Persico. A questo i credenti aggiungono gli sconvolgimenti economici dell’Occidente, la sconfitta degli odiati neocon nelle recenti elezioni americane, il fallimento da parte dell’Occidente nell’arrestare il programma nucleare iraniano e quella che insistono nel definire l’eroica vittoria di Hamas a Gaza. I mullah stanno disperatamente cercando di convincere i loro recalcitranti cittadini, e forse anche se stessi, che saranno salvati dal miracolo definitivo.
Tuttavia, qualsiasi persona seria che oggi guardo all’Iran, non può che concludere, con ogni probabilità, che è la loro distruzione ad essere dietro l’angolo, e non il loro trionfo. Non esiste nessun altro paese che sia stato più duramente colpito dalla crisi economica globale. Quasi il 90 per cento delle entrate nazionali iraniane viene dal petrolio, che è precipitato da 140 a 40 dollari al barile. All’improvviso, i mullah si ritrovano a corto di soldi. E mentre continuano a vantarsi della gloriosa vittoria riportata a Gaza, praticamente tutti in Medio Oriente sanno che i loro pupazzi, quelli di Hamas, sono stati severamente battuti e che né l’Iran né i suoi terroristi preferiti, quelli di Hezbollah, hanno minimamente rischiato del loro per combattere le forze di difesa israeliane.
Senza contare che anche il notevole supporto iraniano ad al-Qaeda in Iraq è stato doppiamente sconfitto, prima sul campo di battaglia e poi la scorsa settimana, alle urne. Anche lo Status of Forces Agreement tra gli Stati Uniti e l’Iraq è stato un duro colpo, dal momento che i mullah di Teheran, compreso il leader supremo, l’ayatollah Ali Khamenei, hanno fatto di tutto per bloccarlo.
Anche i presagi magici non sono altro che propaganda. Il lancio del satellite è stato effettuato sfruttando una tecnologia vecchia di cinquant’anni, simile a quella dei sovietici ai tempi dello Sputnik. Le alghe rosse, poi, si vedono in giro da molto tempo e sono state studiate dagli scienziati per decenni. È improbabile che gli iraniani finiscano per credere che questo regime sarà in gradi di guidare una vittoriosa jihad globale. Soprattutto perché patiscono difficoltà economiche e una repressione sempre più intensa, mentre le esecuzioni capitali procedono a ritmi da record. L’insicurezza dei mullah è così forte che hanno usato la mano pesante anche con Shirin Ebadi, la donna iraniana più famosa, avvocato e vincitrice del premio Nobel per la pace nel 2003.
I mullah sanno di essere odiati dalla loro stessa gente e che la loro situazione di pericolo è aggravata dalla combinazione tra il fallimento economico e la sconfitta delle loro forze alleate. L’invocazione al miracolo è un segno di disperazione e lascia intendere che per gli Stati Uniti è un momento particolarmente buono per appoggiare finalmente gli iraniani contro i loro oppressori.
L’amministrazione Obama vuole parlare ai mullah, e alcuni rapporti sembrano suggerire che i colloqui vanno avanti già da mesi. I negoziatori americani dovrebbero cogliere ogni occasione per fare appello al rispetto per i diritti umani in nome dei leader sindacali che chiedono che gli stipendi vengano pagati, in nome delle donne che chiedono pari diritti, in nome degli studenti che affermano la propria libertà di critica. E anche in nome di quegli ayatollah dissidenti come Montazeri e Boroujedi che hanno bollato il regime come eretico. Il segretario di Stato Hillary Clinton sarebbe un difensore ideale per queste vittime.
Ma, soprattutto, gli Stati Uniti non devono commettere l’errore di limitare le richieste al programma nucleare. L’obiettivo deve essere un Iran libero. È più che comprovato che la stragrande maggioranza degli iraniani vuole far parte del mondo occidentale e vivere in pace con i propri vicini. Se l’Iran fosse libero e democratico non perderemmo il sonno dietro l’arricchimento dell’uranio a Natanz. Dobbiamo essere la voce della gente. Siamo in grado di offrire molta più speranza delle trasmissioni di Ahmadinejad dallo spazio cosmico.
© The Wall Street Journal
Traduzione Andrea Di Nino
Michael A. Ledeen è il Freedom Scholar della Foundation for Defense of Democracies di Washington.