L’Irap la odiano tutti ma forse qualcosa sta cambiando

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L’Irap la odiano tutti ma forse qualcosa sta cambiando

10 Giugno 2008

L’Irap è sicuramente l’imposta più discussa e più odiata dai contribuenti in questo frangente storico: piccola – forse solo in apparenza- ma cattivissima. Qui  di seguito spiegheremo molto sinteticamente le ragioni di questo fenomeno, e azzarderemo una previsione: con questo governo cambierà molto nel modo di interpretare questa imposta. Procediamo per gradi, iniziando dall’odio nei confronti dell’IRAP.

L’IRAP è odiata dalle società: lo è  perché colpisce semi-indiscriminatamente, e si può rendere applicabile anche in condizioni estreme, come quando l’anno chiude con una consistente perdita. Perché? Il presupposto non è il reddito conseguito, ma il valore della produzione rettificato di alcuni costi come il personale, che certo influisce non poco sul bilancio delle nostre aziende. Il risultato è che l’IRAP, pur relativamente contenuta per aliquota, è devastante negli effetti, perché incide su una base imponibile larghissima, ed è inesorabilmente pagata da tutti.

Ma sicuramente l’IRAP è  ancora più odiata dal popolo delle piccole partite Iva. Il motivo è arcinoto. Il presupposto applicativo dell’irap è – ahinoi – quanto mai fumoso e largo. In linea di principio, a dover pagare questo tributo dovrebbero essere tutti coloro che dispongono di una “attività autonomamente organizzata” .

Fin qui tanto quanto. Se non fosse che manca, ad oggi, una  definizione di autonoma organizzazione. Il legislatore spesso usa termini generici  e lascia la determinazione più specifica alle circolari – che legge non sono, ma semplicemente “istruzioni per l’uso” per gli Uffici fiscali disseminati sul territorio.

Ebbene, l’Amministrazione Finanziaria, sotto il regno di Visco, non ha certo contribuito a fare chiarezza.

I giornali nell’ultimo anno hanno ospitato ampi interventi sulla materia, dando voce al popolo delle piccole Partite Iva e dei giovani professionisti. L’ultimo di una lunga serie è per esempio la seconda circolare interpretativa della fondazione di ricerca dell’Ordine nazionale dei commercialisti pubblicata sul Sole di lunedì.

Qualche risposta interessante alle domande dei  contribuenti è venuta dai giudici tributari. Larga parte dell’interesse è innegabilmente legato alla posizione che i giudici rivestono: essi infatti sono l’unico interlocutore neutrale nella faccenda.

Se da un lato la posizione dell’Amministrazione Finanziaria è stata ancora sottolineata  nelle istruzioni dei modelli Unico che in questi giorni sono sotto gli occhi di tutti coloro che compilano le dichiarazioni, dall’altro la Cassazione recentemente si è espressa diversamente, affermando che non valgono le classificazioni delle imposte sui redditi, quello che conta è la vera  e propria natura dell’attività svolta.

A tener duro, quindi, solo la Cassazione e qualche giudice provinciale qua e là. Peraltro, rivelano le statistiche, la percentuale di contribuenti vittoriosi va ben oltre il 50% della casistica complessiva in materia di IRAP…

A questo punto, ecco la previsione – l’auspicio – di queste colonne: verrà fatta chiarezza!

Il Sottosegretario all’Economia in quota alla Lega Nord, Daniele Molgora, ha infatti preannunciato una circolare esplicativa dei criteri indicati dalla Cassazione, con esemplificazione dei casi più evidenti in cui i contribuenti non devono pagare l’imposta.

Un vademecum, dunque, che dovrà aiutare i contribuenti – e l’Amministrazione Finanziaria – a farsi largo nelle nebbie di una normativa, voluta fortemente da Visco e dai suoi, che finora ha creato grandissimi problemi.

Per imprese, contribuenti e consulenti non sarà forse una potentissima panacea. Ma quantomeno un segnale netto che qualcosa sta cambiando.