L’Iraq andrà a Pechino per ripetere l’exploit di Atene 2004

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L’Iraq andrà a Pechino per ripetere l’exploit di Atene 2004

31 Luglio 2008

Un anno fa lo storico trionfo nella Coppa d’Asia di calcio (1-0 all’Arabia Saudita, al 71° Mahmoud). Un anno dopo, l’esclusione dai Giochi di Pechino in seguito allo scioglimento del Comitato olimpico nazionale. “Molti dei suoi membri erano pesantemente corrotti”, confermano ancora oggi dal Ministero della gioventù e dello sport del governo Talabani, nei giorni delle ultime trattative per il ripescaggio – in extremis, e di due soli atleti su sette, tra quelli regolarmente qualificati – di una minima rappresentanza irachena, ammissibile al massimo evento sportivo mondiale. 

L’Iraq che si rimette in gioco in campo internazionale vive l’ennesima altalena di emozioni, seguendo l’esito di una partita soprattutto burocratico-giuridica, in parte socio-politica, a latere altamente simbolica. Nel corso della settimana numerosi i pronunciamenti diplomatici di peso, diramati a sostegno di una soluzione ispirata perlomeno al buon senso, della querelle Cio di Losanna vs. autorità governativa di Baghdad. Hanno quindi preso parola prima rappresentanti delle leadership di Francia, Germania e Inghilterra, poi della stessa Cina e infine, con la consueta schiettezza, degli Stati Uniti d’America. La Casa Bianca ha espresso ufficialmente “disappunto” per la decisione del Comitato olimpico di escludere l’Iraq da Pechino 2008. “Sono certa che gli atleti iracheni, che si sono allenati duramente per rappresentare un paese ormai libero e sovrano, saranno terribilmente dispiaciuti e mi sento umanamente molto dispiaciuta per loro”, si è così spesa la portavoce del presidente George W. Bush, Dana Perino. Nel pomeriggio di martedì, infine, l’atteso annuncio di un armistizio. Più di un passo indietro da parte del Cio, e quattro posti a disposizione degli olimpionici iracheni liberati nei settori atletica leggera ma non solo – sorpresa: grazie a un beau geste del Comitato nazionale della Corea del Nord – anche nel canottaggio. 

Già ad Atene 2004 gli olimpionici ‘leoni’ della nazionale ‘dei due fiumi’ seppero ruggire in particolare sui prati del torneo di football, a caccia di una medaglia esibendo coraggio agonistico e un’apprezzabile organizzazione di gioco. Qualità sconfitte di misura, manco a dirlo, da un’improvvisazione italiana nella finale per il terzo e quarto posto, risolta da un guizzo di Gilardino. Perché davvero “gli iracheni non vivono che per il pallone”, esagera l’attuale responsabile della Federazione calcistica del paese, Hussein Said, raccontando all’Afp la recente epopea di squadre e giocatori schierati per la democrazia e per la sicurezza, da garantire anche ai ventidue alla volta che si rincorrono da porta a porta, sui campi del centro e nelle periferie. “È la loro passione, è l’attività ludica, ricreativa e aggregativa che li coinvolge maggiormente”, si entusiasma per il football e per il contagio dei suoi tanti (moltissimi giovani) connazionali praticanti, il cinquantenne Said, centravanti Mondiale a Messico 1986.

“Iraq 1-Terrorismo 0” è la slogan di buon auspicio che campeggia all’interno delle strutture meglio funzionanti, nella capitale e negli altri centri maggiori. A Baghdad ci sono quartieri letteralmente impazziti per il calcio e per i suoi riti, allenamento-partitella-amichevoli-partita ufficiale-partita in tv satellitare compresa. Khalil Jalil, reporter, cita in particolare il caso strano degli agglomerati di Shoula e Sadr City, così come di zone popolari di Najaf, Kerbala e Bassorah, dove le costituzioni più o meno ufficiali di club e sodalizi polisportivi, oramai non si contano più. Ecco la base reale di un movimento che al suo vertice, per gli sforzi effettuati, si è meritato eccome i XXIX Giochi olimpici della storia. L’importante è far partecipare.