L’Iraq e il Golfo: una cooperazione necessaria per la sicurezza regionale

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L’Iraq e il Golfo: una cooperazione necessaria per la sicurezza regionale

03 Gennaio 2009

Tra il 12 e il 14 dicembre 2008, si è svolto l’ormai tradizionale summit dell’International Institute of Strategic Studies (IISS) di Londra sulla sicurezza regionale, il cosiddetto “Manama Dialogue” (dal nome della capitale del Bahrein dove si tiene l’incontro), che per il quinto anno consecutivo ha riunito ventiquattro tra capi di Stato e di governo, ministri della Difesa e rappresentanti governativi provenienti dai paesi più influenti a livello regionale e globale (l’Italia non ha partecipato).

Nel corso del summit sono emerse numerose analogie tra l’approccio americano alla sicurezza regionale e quello arabico. Tra i leader presenti all’incontro, il segretario alla Difesa americano, Robert Gates, ed il ministro degli Esteri del Bahrein, lo sceicco Al Khalifa; i due hanno chiaramente parlato la stessa lingua in merito ai principali dossier regionali: stabilizzazione dell’Iraq, contenimento dell’Iran, sconfitta del terrorismo internazionale, limitazione delle contrapposizioni etniche, aggiornamento degli strumenti militari multilaterali per combattere le nuove sfide alla sicurezza (approvvigionamento energetico, sicurezza cibernetica, protezione delle infrastrutture critiche). Ciò che distingue le due posizioni è la diversa priorità assegnata alle sfide e alle minacce alla sicurezza regionale.

Gates ha ribadito la continuità dell’azione politica statunitense nel Golfo, evidenziando cinque priorità che presumibilmente saranno condivise anche dal prossimo presidente americano, Barack Obama, che ha già confermato Gates al Pentagono. La prima è la lotta contro Al-Qaeda e il terrorismo internazionale in Iraq, Afghanistan e in tutta l’area. In Afganistan, Gates ha richiesto un ulteriore sostegno dai paesi del Golfo tramite un maggiore intervento nell’Afghan Army Sustainment, così come confermato poco dopo dal Generale David Petraeus. La seconda priorità dell’amministrazione americana è il mantenimento di un’economia solida ed in crescita nella regione. Tra le misure proposte, si chiede ai paesi del Golfo di autorizzare la cancellazione del debito detenuto dall’Iraq fin dai tempi di Saddam Hussein. La terza priorità consiste nel cercare di attenuare le contrapposizioni che lacerano la regione, a partire dalla soluzione “due Stati per due popoli” per il conflitto israelo-palestinese. Quarta priorità: il contenimento dell’influenza iraniana, attraverso l’applicazione delle sanzioni previste dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Quinta priorità è il rafforzamento della sicurezza aerea e marittima degli Stati Uniti e dei suoi alleati nei teatri dove questa si mostrerà necessaria.

La posizione arabica non differisce sostanzialmente da quella americana, ma è più concentrata sui problemi regionali. I paesi della penisola arabica, infatti, sono preoccupati da due fattori: l’impatto della crisi finanziaria sul sistema economico regionale e la stabilizzazione dell’Iraq. L’attuale crisi finanziaria ha contribuito al crollo dei prezzi delle materie prime; la bonanza petrolifera si è prosciugata e sebbene i paesi della regione godano ancora di un netto ed importante surplus finanziario, il ministro degli Esteri del Bahrein si è affrettato a sottolineare la necessità di “minimizzare sia a livello regionale che globale gli effetti della crisi sui cittadini, sulle loro aspirazioni, sul loro lavoro, sulla casa e sulla qualità della vita”. “Solo permettendo loro”, continua lo sceicco “di conservare lo stile di vita che hanno acquisito nel corso degli ultimi anni è possibile evitare che questa crisi finanziaria si trasformi in una crisi di sicurezza nella regione o altrove”. Tradotto, ciò sembra evidenziare la paura dei governi del Golfo che le popolazioni locali, fomentate da minoranze antagoniste, possano minacciare la stabilità politica del paese – cioè il potere delle monarchie che li governano.

I massicci programmi di investimento nel biennio 2009/2010 stanno già rallentando mentre i processi di diversificazione economica dovranno accelerare, affinché questi paesi possano dipendere sempre meno dal petrolio. I paesi più virtuosi hanno investito i profitti petroliferi in educazione, industria e turismo; quelli che non lo hanno voluto o potuto fare, l’Iran in primis, potranno avere un 2009 piuttosto turbolento.

La seconda preoccupazione dei paesi del Golfo è la posizione dell’Iraq nel contesto geopolitico regionale. Il governo iracheno si è dimostrato intenzionato a cogliere le opportunità di sviluppo che gli sono state offerte promuovendo accordi industriali ed economici con i paesi confinanti. Il dialogo politico sebbene in crescita è, tuttavia, piuttosto limitato.

Il Gulf Cooperation Council (GCC) rappresenta l’organizzazione internazionale di maggior successo nell’area e sarebbe un partner ideale per Baghdad. I sei paesi che oggi ne fanno parte, Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar, sono relativamente simili tra loro: scarsamente popolati, terre di forte immigrazione, estremamente ricchi e governati da famiglie reali. L’Iraq, invece, presenta caratteristiche assai differenti sotto il profilo etnico (tre etnie ‘nazionali’), politico (è una repubblica presidenziale democratica), economico (è un paese in via di sviluppo) e demografico (è un paese giovane e di emigrazione). Un Iraq integrato all’interno del GCC, sebbene auspicabile, non sembra dunque possibile almeno nel breve periodo, specie per le riserve della dirigenza saudita che guida politicamente il GCC, perché un suo accesso modificherebbe sostanzialmente gli equilibri interni all’organizzazione.

Non è ancora chiaro, tuttavia, se il GCC abbia intenzione di assomigliare più ad una NATO del Golfo oppure ad un’Unione Europea arabica; non che i due modelli siano gli antipodi, ma risorse, strategie e prospettive possono risultare sostanzialmente diversi. Maggiore cooperazione economica, creazione di un’area economica unificata, ed in prospettiva di una moneta e una banca centrali uniche, contribuirebbero a favorire la stabilità regionale. In un tale contesto, la partecipazione dell’Iraq potrebbe fornire un importante valore aggiunto alla stabilizzazione economica e quindi politica della regione, dato il peso demografico ed economico di Baghdad. Se, invece, il GCC volesse qualificarsi come un foro di dialogo politico-militare regionale, come la costituzione dell’ormai abortita Peninsula Shield Force sembrava significare, il contributo iracheno potrebbe essere ancora maggiore.

Per quanto le possibilità di ingresso dell’Iraq nel GCC siano al momento scarse, nonostante il sostegno americano, è ipotizzabile una forma di partnership che preveda la partecipazione del governo iracheno a quegli incontri del GCC in cui il suo contributo sarà ritenuto un valore aggiunto agli sforzi per la sicurezza e lo sviluppo della regione. Un partenariato tra l’Iraq e il GCC andrebbe a tutto vantaggio dei paesi arabi, perché avvicinerebbe Baghdad alle loro posizioni sull’Iran; mentre per gli Stati Uniti sarebbe il segno della definitiva stabilizzazione della Mesopotamia.