L’Irlanda cerca di placare i mercati: piano di austerity da 15 miliardi
25 Novembre 2010
La crisi irlandese che schiaccia l’euro, le tensioni sui mercati finanziari e le Borse che bruciano miliardi, lo spettro della speculazione con gli spread sui titoli di Stato che si ampliano, le difficoltà della Grecia a rimborsare i prestiti concessi per evitare il default, gli scioperi di matrice politica che mettono a dura prova le scelte di rigore di chi è chiamato all’austerità. I paesi europei temono, si interrogano, alcuni (forse) prendono atto degli errori commessi. E tengono puntati gli occhi sull’Irlanda e sul suo Governo, che ieri ha dato le indicazioni sul piano taglia-debito che è alla base del progetto di aiuti da 85 miliardi.
I dettagli. La manovra quadriennale per risanare i conti irlandesi equivale a 15 miliardi di euro fino al 2014, di cui 10 miliardi di tagli (tre miliardi alla spesa corrente e sette alla spesa per investimenti). Gli stipendi agli impiegati pubblici di nuova assunzione saranno tagliati del 10% e il numero complessivo sarà riportato ai livelli del 2005 (ne salteranno oltre 24 mila). Mentre 5 miliardi verranno recuperati con maggiori entrate fiscali: aumenta l’Iva dal 21 per cento al 22 per cento nel 2013, poi al 23 per cento nel 2014. Verrà però mantenuta la fiscalità di vantaggio a favore delle imprese. Aliquote solo al 12,5 per cento sulle società, con cui negli anni scorsi il paese era riuscito a richiamare centinaia di imprese estere. Sono queste le condizioni per poter accedere agli 80-90 miliardi di euro in tre anni previsti dal pacchetto di salvataggio Ue-Fmi messo a punto lo scorso fine settimana. E già il 40 per cento di queste misure, ovvero 6 miliardi di euro dovrà esser realizzato nel prossimo anno.
Alla manovra seguirà il varo, il prossimo 7 dicembre, della legge finanziaria per il 2011 che sarà tutt’altro che una passeggiata. Specie dopo l’uscita dei Verdi dal governo proprio per protesta contro il piano di austerity richiesto dalla Ue, a cui si aggiunge l’ipotesi che il Fine Gael, il principale partito di opposizione, non si schieri a favore. Ipotesi che rischiano di far perdere ulteriori punti al rating dell’Irlanda, già sotto esame da Moody’s e da Standard&Poors. Ieri S&P ha abbassato il rating sul debito a lungo termine dell’Irlanda di un livello, facendolo passare da "AA-" a "A", evocando la possibilità che l’Irlanda ricorra al mercato del credito più di quanto non fosse stato stimato in precedenza. Il rating sul debito a breve é stato invece abbassato di un gradino da "A-1+" ad "A-1".
“Qual è il modo migliore per far fallire le banche?” È questa secondo Salvatore Rebecchini, economista e componente dell’Antitrust, la domanda più utile per centrare il problema irlandese. Un quesito che l’Irlanda stessa dovrebbe porsi. Alla base del problema sta, secondo Rebecchini, l’eccesso di investimenti nel settore creditizio. “Banche troppo grandi per un paese troppo piccolo”, spiega Rebecchini, che intravede nella decisione di salvare gli istituti di credito, una scelta controproducente per l’economia del Paese e il suo debito pubblico.
Sulla stessa scia l’analisi di Francesco Forte, economista ed ex Ministro del Tesoro, secondo cui nel caso dell’Irlanda (a differenza della Grecia) “l’aiuto serve al 55% per un intervento a favore delle banche irlandesi, che hanno bisogno di altri 50 miliardi oltre a quelli che ha già erogato lo stesso governo irlandese per evitare il dissesto. L’Esecutivo di Dublino ha un deficit di bilancio pari al 30% del suo Pil, che fa salire il suo debito pubblico verso il 100% del Pil dato che si è impegnato nelle banche in crisi – spiega sempre Forte – nazionalizzandone una, comprandone unaltra, acquistando quote di minoranza di altre due e garantendole tutte quante”. Ecco così, conclude l’ex Ministro – “che la sua situazione è precaria per colpa della crisi bancaria non per la crisi della sua finanza pubblica, sin qui basata su basse imposte, basse spese, bilanci pubblici in quasi pareggio, modesto rapporto fra debito pubblico e Pil”.
Oscar Giannino, direttore di Chicago Blog, non usa mezzi termini: “Finché non si adotta uno schema congiunto sul problema del salvataggio e della copertura dei cattivi crediti bancari nella euro area non preverremo il rischio. Il problema è destinato a riproporsi”. Entrando nello specifico della crisi irlandese, per Giannino è sbagliato cercarne le cause nella miopia tedesca: “La questione è quella bancaria. Serve fare una valutazione realistica sulla situazione patrimoniale delle maggiori banche. Altro che stress test della scorsa estate! Questo da una parte. Dall’altra – spiega sempre Giannino – bisognava esporre gli istituti bancari che detengono ammontare di debito per decine di miliardi di euro a una diversa commisurazione del rischio sui propri attivi di portafoglio. Questo anche alla luce di un profondo cambiamento del mercato degli spread sul più grande dei titoli di debito pubblico”.
Ma è credibile il piano di rientro proposto dall’Irlanda? Secondo il professore di analisi economica delle Istituzioni Internazionali a La Sapienza, Massimo Lo Cicero “questi piani di rientro devono in qualche modo garantire una distinzione tra la riduzione del debito e l’automatismo di una politica deflattiva per estinguere il debito”. “La Germania dice ‘Dovete diminuire il debito. Per farlo dovete mandare in avanzo primario tutti quanto i vostri conti pubblici. Dovete ribaltare il deficit e trasformarlo in surplus di bilancio per ridurre il debito’, ma in realtà – spiega Lo Cicero – l’unico modo per raggiungere questo obiettivo è aumentare le tasse o tagliare draconianamente le spese. In entrambi i casi dal punto di vista dei flussi – della spesa pubblica, del deficit e del surplus – avremmo un effetto deflattivo. E non si può dare una botta così forte, deflattivamente, all’Europa solo perché devi obbligare tutti a ridurre il debito attraverso gli avanzi primari di bilancio”. Da qui la ricetta. Per ridurre il debito, secondo Lo Cicero, si dovrebbero seguire due strade. La prima: “Vendere gli asset, in modo da ridurre il debito e diminuire il rischio deflattivo (opzione meno dannosa nel ciclo del reddito e di conseguenza meno onerosa sul fronte occupazionale)”. La seconda: “D’accordo con quanto scrive Giavazzi, bisognerebbe prendere tutti i debiti dei paesi dell’area euro, tra cui ovviamente quello dell’Italia, e ‘parcheggiarli’ nello European Financial Stability Facility, per un quota non eccedente il 60% nel rapporto debito/PIL, ‘adempiendo’ così ai parametri di Maastricht. Il resto rimarrebbe in mano alla gestione degli Stati euro. All’Italia toccherebbe gestire il suo rimanente 60%, visto che abbiamo un rapporto debito/PIL al 120%”. Per Lo Cicero, sarebbe comunque necessario distinguere tra una necessaria politica di alleggerimento del debito e una politica congiunturale non condizionata dallo stato della finanza pubblica.
Come hanno reagito gli altri paesi europei all’annuncio del piano di austerity? La Germania ha fatto sapere di voler rispondere ok alla richiesta di aiuto finanziario dall’Irlanda anche se la cancelliera Angela Merkel ha detto che il via libero è “con una condizionalità» che dovrà permettere al Paese di “ritornare sulla via della stabilizzazione dei conti pubblici”. Positivi riscontri anche da parte di Danimarca e Francia: sia il presidente Ue Herman Van Rompuy che il presidente della Commissione José Barroso hanno rassicurato Eurolandia: “Non c’é il rischio contagio, l’euro é solido, l’Eurozona e la Ue stanno vivendo una fase molto difficile, ma la crisi sarà superata”. In Italia il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ha sottolineato che sul fronte della crisi economica e della tenuta dei conti pubblici “il nostro paese è in una condizione diversa rispetto alla Grecia e all’Irlanda”.