L’islam e le rivoluzioni arabe

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L’islam e le rivoluzioni arabe

08 Aprile 2011

Lo spettacolo offerto dalla caduta dei corrotti dittatori arabi, rovesciati dalle richieste di una nuova generazione di giovani idealisti, ispirati dalla democrazia, uniti da facebook ed eccitati dalla possibilità di aprirsi a un mondo più grande del proprio, ha eccitato osservatori ovunque nel mondo. Rivoluzioni ancora in pieno svolgimento, sebbene si trovino in momenti diversi del proprio ciclo.

In Tunisia e in Egitto le rivoluzioni sembrano andare nella direzione giusto; sembra prevalere infatti un’atmosfera piena di speranza sostenuta dalla possibilità di elezioni imminenti. In Libia, Siria e Yemen i dittatori sono abbarbicati al proprio potere, con risultati che parlano di fortune molto diverse fra loro. E nel Golfo Persico le monarchie fanno di tutto per respingere le domande di democrazia con la generosità dei petroldollari che mal celano misere concessioni politiche.

Sinora queste rivolte hanno dimostrato di avere un carattere prevalentemente laico. Gli occidentali a voce bassa hanno tirato un bel sospiro di sollievo. Non che essi siano contrari alla religione. Molti – gli americani in particolare – sono devoti. Ma in linea di massima preferiscono la propria a quella degli altri, e dall’11 Settembre in poi, hanno dato prova di essere un po’ nervosi quando si parla di musulmani.

E’ chiaro a tutti che l’islam stia in vario modo assumendo un ruolo crescente nelle rivoluzioni arabe. Fatto questo che inquieta i laici e progressisti, tanto arabi che occidentali. Evidentemente temono che il risveglio arabo possa essere preso in ostaggio da quel genere di islamisti che rifiutano una visione pluralista della democrazia, che opprimono le donne e che sventolano la bandiera della jihad contro i Cristiani e gli Ebrei. Temono che la militanza assassina che ha fatto 30.000 morti solo in Pachistan, possa emergere anche nel mondo arabo.

Islam in crescita

In Libia il consiglio di transizione nazionale, che ottiene lentamente il riconoscimento di governo in pectore, è un mix di laici di sinistra e di islamisti. Tra i ribelli ci sarebbero anche jihadisti libici, veterani dell’Iraq e dell’Afghanistan, benché in numero limitato. Un generale statunitense ha recentemente affermato di aver individuato qualche “brulichio di al-Qaeda” tra i nemici del colonnello aiutati dall’Occidente, un fatto che solleva spiacevoli ricordi quando si pensa dell’alleanza statunitense con i mujaheddin afghani in funzione anti-sovietica. Gli stessi mujaheddin che poi si misero con al-Qaeda e con i talebani.

La fratellanza musulmana, che vanta “filiali” in tutta la regione, è il movimento con maggior capacità organizzativa in Libia e in Egitto; e il referendum costituzionale tenutosi la scorsa settimana in Egitto è andato nel modo in cui i ‘fratelli’ volevano che andasse. I suoi membri hanno molto sofferto il pugno duro dei regimi sostenuti dall’Occidente, come quello di Hosni Mubarak proprio in Egitto, un trattamento a loro riservato, à vrai dire, anche dai regimi laici anti-occidentali come quello siriano di Bashar al-Assad in Siria, in questi giorni sotto grande pressione.

Anche in Tunisia, gli islamisti, in precedenza banditi, sembrano ben posizionati. Nel complesso i fratelli musulmani hanno fatto di tutto per rassicurare l’Occidente sul loro abbandono della violenza nel perseguimento dei propri obiettivi politici, sulla loro adesione alla democrazia multipartitica, sulla promozione dei diritti delle donne e sul fatto che si guarderanno dall’imporre la sharia, ovunque fossero chiamati a entrare al governo nei paesi che oggi li vedono riemergere come partiti legali.

Nonostante ciò, i fratelli musulmani rendono nervosi tante persone. All’estremo dell’ampio spettro ideologico che essi coprono, le loro posizioni non sono poi così distanti da quelle dei jihadisti, molti dei quali hanno iniziato il proprio percorso nelle fila proprio della fratellanza musulmana. Il movimento islamista palestinese, Hamas, una costola della fratellanza, è stata deliziata dalla caduta di Mubarak.

In passato Hamas ha condotto attentati suicidi nel cuore di Israele e rifiuta di riconoscere lo stato ebraico. Alcuni commentatori di sinistra sostengono che gruppi islamisti più estremi stanno cavalcando la più moderata fratellanza musulmana. Nel bagliore del rilascio dei prigionieri, centinaia, se non addirittura migliaia, di jihadisti egiziani sono di nuovo in libertà.

Non disperare

L’islam è destinato a giocare un rilevante ruolo nel governo dei paesi arabi più che in ogni altro luogo. La maggior parte dei musulmani non crede nella separazione tra Stato e religione, come fanno l’America e la Francia, e non hanno perso il loro entusiasmo nella religione come fanno molti “Cristiani democratici” in Europa.

Le democrazie musulmane come Turchia, Malesia e Indonesia hanno tutte grandi partiti islamici. Il punto è che islamico non significa islamista. Al-Qaeda negli scorsi anni ha perso terreno nei cuori e nelle menti degli arabi. I jihadisti sono una piccola minoranza, ampiamente odiata dai propri correligionari, non fosse altro per aver contribuito a diffondere una cattiva nomea sull’islam in tutto il mondo.

Le dispute ideologiche tra moderati ed estremisti nell’islam sono tanto aspre quanto animose sono le dispute esistenti tra fondamentalisti musulmani, cristiani ed ebrei. I giovani arabi, largamente responsabili per i sollevamenti, sono molto più connessi e in sintonia con il resto del mondo moderno di quanto non lo fossero i loro predecessori conservatori.

In più, alcuni paesi musulmani hanno imboccato la via della democratizzazione e alcuni l’hanno già raggiunta. Alcuni di questi paesi stanno peraltro facendo molto bene. Tra i paesi arabi, il Libano, con la propria profusione di religioni e sette, ha a lungo goduto di una democrazia di questo tipo, zoppicante a causa dell’esistenza di quote settarie e la presenza di una milizia armata, Hezbollah. L’Iraq, dal canto suo, è riuscito almeno a eleggere un genuino parlamento multipartitico.

Fuori dal mondo arabo, in Turchia, Malesia e Indonesia, l’islam e la democrazia sembrano coabitare con sufficiente agio. Tra i manifestanti arabi, molti musulmani devoti, compresi quelli della fratellanza musulmana, citano la Turchia come modello. Vero è che il mite governo islamista di Ankara sta mostrando preoccupanti segni di autoritarismo in questi ultimi tempi, ma sta servendo il suo popolo molto meglio di quanto non facessero i generali. L’Iran che un tempo esercitava tanta influenza, non è considerato un modello: la teocrazia non sembra tanto in voga nella piazza araba.

Resta il fatto che i musulmani potranno compiere delle scelte che nel complesso potrebbero non piacere all’Occidente. Ma quelli che generalmente si preoccupano i questo, dovrebbero ricordarsi che nessuna alternativa potrà servire i loro interessi, tanto meno quelli degli arabi, e soprattutto non nel lungo periodo. I vecchi autocrati hanno privato la propria gente di libertà e di opportunità; e la stabilità che hanno promesso negli anni – è chiaro a tutti ormai – è destinata comunque a non durare.

La guerra civile degli anni ’90 in Algeria rimane a questo proposito un orrido avvertimento per tutti coloro che vogliano cimentarsi nella sottrazione del potere legalmente ottenuto dagli islamisti. L’islam non troverà un accomodamento con il mondo democratico moderno fintantoché i musulmani non assumeranno sulle proprie spalle la responsabilità delle proprie esistenze. Milioni di persone ancora hanno una chance di fare anche solo questo. Dovrebbe essere questa più ragione di festeggiamento che di inquietudine.

Tratto dal The Economist

Traduzione di Edoardo Ferrazzani