L’islamizzazione dell’Unesco, da Gerusalemme al Partenone
04 Novembre 2016
L’Unesco è un palazzo tenuto in piedi da belle parole come “libertà”, “pace”, “fratellanza”, “educazione”. In quegli uffici si occupano di tutto, e quindi di niente, “dall’insegnamento all’inclusione” allo “sviluppo sostenibile”. A Jean-François Revel – filosofo francese che dal socialismo passò al liberalismo – bastarono davvero poche battute per disegnare il profilo dell’agenzia Onu per la cultura: “l’Unesco, la cui missione originaria era diffondere l’educazione, la scienza e la cultura, ha invertito il corso della sua funzione facendo pensare al ‘1984’ di Orwell e al suo Ministero della Verità, il cui compito reale era quello di diffondere la menzogna”.
Il mancato riconoscimento, da parte dell’Unesco, delle radici ebraiche e cristiane di Gerusalemme, è stata solo l’ultima di queste bugie, un colpo di maglio sferrato a quello che residua della cristianità. La guerra dell’Unesco contro Israele però era iniziata da tempo. Nel 2009 Gerusalemme fu definita dagli onusiani “capitale della cultura araba”. In combutta con con l’Autorità Palestinese, l’Unesco rispondeva così a quella che, allora come oggi, viene considerata la “occupazione israeliana” di Gerusalemme.
Nel 2010, la Tomba di Rachele (la moglie di Giacobbe) e la Grotta dei Patriarchi a Hebron, in quanto “false trombe ebraiche” – per l’Agenzia – furono trasformate in moschee. Quando ebrei e cristiani osano avvicinarsi a questi luoghi sacri per pregare, vengono intimiditi, aggrediti, e in certi casi persino uccisi. Sono anni che l’Agenzia Onu collabora con l’Isesco, ovvero con la Organizzazione della conferenza islamica, partecipando forse al sogno di una supremazia musulmana globale. Tessera dopo tessera, vogliono trasformare l’Occidente in una colonia islamica. Ma per primo bisogna colpire Israele, far passare Gerusalemme nelle mani dell’islam, perlomeno storicamente parlando.
E non si tratta solo di distorcere la storia, bensì di intaccare le basi culturali stesse dell’Occidente. Una strategia che coinvolge anche l’Europa, ma che soprattutto dovrebbe preoccupare l’Europa. Pensiamo alla Grecia. Oggi ospita ben due milioni di immigrati – per lo più clandestini – a maggioranza musulmana. La natalità zero, il crescente invecchiamento della popolazione, insieme all’emigrazione per ragioni economiche dal Paese, porteranno i greci, nel 2050, ad essere 2,5 milioni in meno rispetto ad oggi. La percentuale, in crescita, di musulmani, renderà i greci una minoranza a casa loro.
Il che semplificherebbe le cose all’Unesco: vista la massiccia presenza islamica, sarà possibile decretare che i greci non hanno mai avuto nulla a che fare con l’Acropoli e il Partenone? E, dal momento in cui ogni cambiamento è sempre l’esito di un processo, presto, là dove batteva il cuore della cristianità verranno trapiantate valvole maomettane. Un esempio emblematico in questo senso è la cattedrale di Santa Sofia. Voluta dall’Imperatore Giustiniano fu eretta nell’ambizione di un monumento capace di sfidare il tempo, microcosmo dell’universo cristiano. Quando Maometto II vi entrò dopo la resa di Costantinopoli, emozionato di fronte a tanta magnificenza, ordinò subito di trasformare la chiesa cristiana in una moschea… I versetti del Corano, così, coprirono le icone dei Santi. Nel 1934, da luogo di culto divenne museo.
Oggi, Erdogan, con un progetto ancora in discussione in Parlamento, vorrebbe che quel museo tornasse ad essere una moschea, almeno per metà. Se il Corano tornerà a essere letto a Santa Sofia, vorrà dire che l’islam avrà preso possesso, nuovamente, di quella che Giustiniano battezzò “la costruzione più sontuosa dall’epoca della Creazione”. E anche quell’angolo di mondo sarà scristianizzato definitivamente. Se niente cambia, i luoghi sacri dell’Occidente cristiano, saranno serviti su di un piatto d’argento all’islam. Magari per placare la loro ira funesta. E ancora una volta, diventeremo la merendina delle Nazioni Unite e dei maomettiani. Con l’avvallo di questa o quella agenzia delle Nazioni Unite. Quella stessa Onu che sembra chiudere gli occhi, anche, sulla repressione di ogni libertà in Turchia e in tanti altri Paesi del mondo arabo e islamico.