L’Italia adriatica e i Balcani. A Bari il PPE lancia la macro-regione
31 Gennaio 2014
Non è un caso se il PPE ha scelto Bari per la due giorni di conferenza sulla Macro Regione Adriatico-Ionica e per parlare di integrazione dei Balcani nella Ue. Bari è la città più popolosa insieme a Venezia, Trieste, Rimini, Spalato, Durazzo e Valona, del nostro "mare interno". Con i suoi 350.000 abitanti, racchiude un decimo della popolazione delle due coste tra Italia e Balcani.
Alla Conferenza del PPE partecipano ministri del Governo italiano, come Mario Mauro e Gaetano Quagliariello, l’ex premier albanese Sali Berisha, europarlamentari e delegati dei Paesi balcanici che ancora non sono entrati nella Unione. Il sindaco del capoluogo pugliese, Michele Emiliano, ieri ha dato il suo saluto di benvenuto ai tanti ospiti della manifestazione.
L’Italia è protagonista nel processo di avvicinamento e cooperazione della Ue con i Balcani, nonostante la crisi politica, istituzionale e soprattutto economica attraversata dal nostro Paese negli ultimi anni. Siamo ancora e resteremo lo Stato più influente dell’area e il fatto che Roma si prepari a guidare il semestre europeo, proprio nell’anno di lancio della macro-regione costituita dalla Ue nel 2013, non può che essere un vantaggio nella realizzazione di un progetto così ambizioso.
Sono tre le considerazioni da fare, sinteticamente, sulla "questione adriatica" che rappresentano altrettante sfide per i partiti che si rifanno alla tradizione del popolarismo europeo. La prima è che l’Adriatico, come spazio di comunicazione, con i suoi sistemi di trasporto ("autostrada del mare"), con le sue grandi risorse (il mare, la pesca, il turismo, settori industriali come la nautica), con le sue strategiche rotte energetiche (il gasdotto Tap, che unirà il Caspio e l’Europa), deve uscire dal suo antico isolamento.
L’Adriatico era la frontiera tra la NATO e la Jugoslavia, potenza non allineata del blocco Comunista. Oggi è uno spazio aperto e competitivo. In mezzo, ha vissuto i drammatici turbamenti delle Guerre Balcaniche, una ferita che stenta a rimarginarsi per la generazione cresciuta durante gli anni Novanta. L’Adriatico può (ri)unirsi, sta già accadendo, ma appare ancora parzialmente scollegato rispetto ai grandi network geoeconomici marini e terrestri che attraversano l’Europa e il Mediterraneo.
Il che ci porta alla seconda considerazione. La Macro Regione Adriatica avrà un senso e svolgerà un ruolo essenziale per la Ue se saprà riconnettere i grandi assi verticali e orizzontali dell’Europa di oggi: collegare il Baltico al Mediterraneo sfruttando le reti TEN e i corridoi europei, dei trasporti, energetici e delle telecomunicazioni, che corrono dal Nord al Sud del Continente e sempre di più verso Est, verso la Russia, verso i Balcani e da lì lungo il Mar Nero fino al Caspio. Il Corridoio Baltico-Adriatico potrebbe diventare la spina dorsale del sistema europeo e ad essere ancora più ambiziosi euroasiatico.
La terza considerazione riguarda infine il ruolo che l’Italia deve giocare insieme ai Paesi neocomunitari come la Croazia, la Slovenia, e a stati partner come l’Albania, nel contesto della profonda fase di ristrutturazione interna che sta vivendo l’Europa, con il formarsi di blocchi di Paesi che tendono a federarsi intorno a stati-guida, a costruire reti ed alleanze su base macro-regionale. Si pensi alla forza di attrazione esercitata dalla Germania, al gruppo di Visegrad, al corridoio di Itamar.
Inedite forma di competizione intra-europea conseguenza dei tanti e nuovi ingressi nella Unione e del continuo processo di allargamento. Se il nostro Paese saprà farsi collante e vettore degli interessi nazionali e della integrazione politica, sociale ed economica tra gli Stati che si affacciano sull’Adriatico, se faremo un passo deciso verso i Balcani, a uscirne rafforzata sarà anche la "finis Europae", l’Europa frontiera meridionale del Continente, Spagna, Grecia, Cipro, Malta, e in parte la Francia. Eurosud deve guardare alla macro-regione adriatica come a una opportunità.