L’Italia appoggia “South Stream” e non “Nabucco”. Dove sta lo scandalo?

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L’Italia appoggia “South Stream” e non “Nabucco”. Dove sta lo scandalo?

01 Dicembre 2010

I documenti riservati divulgati da WikiLeaks hanno portato alla ribalta il “Risiko del gas”, e in particolare la scelta dell’Eni e del governo italiano di impegnarsi assieme alla Russia nella realizzazione del gasdotto South Stream.

Questa decisione, proseguono le rivelazioni, ha suscitato l’ostilità di Unione europea e Stati Uniti, che appoggiano il gasdotto “concorrente”: Nabucco.

Vanno fatte subito due osservazioni: se Washington può legittimamente avanzare riserve su un’iniziativa che, a suo giudizio, aggraverebbe la dipendenza energetica e quindi, in ultima analisi, politica dell’Europa occidentale dal Cremlino, altrettanto legittimamente l’Italia può scegliere l’alternativa che più compiutamente promette di garantirne gli interessi.

La seconda osservazione è che, almeno su questo punto particolare, da WikiLeaks non sono arrivate altro che “cose stranote” (Scaroni dixit), già ampiamente dibattute sulla stampa nazionale e internazionale. Che l’America non veda di buon occhio South Stream è agli atti da ormai un anno (si ricorda ad esempio l’incontro avuto da Paolo Scaroni con alti funzionari dell’amministrazione Usa, in cui l’ad Eni ha illustrato le strategie del gruppo in Iran e con la Russia).

Riassumiamo brevemente i termini della questione. Il gas, oltre ad essere necessario al riscaldamento domestico, sta sempre più affermandosi come fonte d’energia alternativa al petrolio e al carbone, per due ragioni di grande importanza: costi più bassi ed emissioni serra sensibilmente inferiori.

In previsione di un uso sempre più massiccio del metano, sono stati ideati tre grandi gasdotti con i quali alimentare i consumi europei: il Nord Stream, l’unico in fase di costruzione; il Nabucco e il South Stream, ancora in fase di studio. Con Nabucco si vuole saltare la Russia e passare attraverso paesi in buoni rapporti con gli Usa, come la Turchia e la Georgia. I bacini di approvvigionamento si trovano in Azerbaijan, Turkmenistan e Kazakistan, ma non si esclude di utilizzare anche i giacimenti iraniani, egiziani e iracheni.

Sul piano geopolitico, Nabucco promette un’alternativa alle forniture di gas dalla Russia e una maggiore indipendenza politica per le repubbliche ex sovietiche che attraversa. South Stream è invece un’impresa prettamente italo-russa, alla quale Eni e Gazprom partecipano pariteticamente. Si tratta di un progetto mastodontico (la sua realizzazione costerà tra i 20 e i 25 miliardi di euro, 900 chilometri di gasdotto andranno costruiti sul fondo del Mar Nero), che mira a trasportare le immense riserve russe di metano direttamente in Italia e in Austria.

Da un punto di vista industriale, esistono molti buoni argomenti per preferire South Stream a Nabucco. Il primo, a regime, trasporterà 60 miliardi di metri cubi di gas all’anno, il secondo 30. Il primo ha già stabilito con certezza da quali giacimenti prenderà il metano, il secondo, su questo punto, è ancora piuttosto vago; l’ipotesi di utilizzare il gas iraniano, poi, non può che aumentare le perplessità enunciate qualche mese fa da un alto dirigente di Gazprom, secondo cui Nabucco non riuscirà mai a raggiungere il flusso di gas previsto. Un parere interessato, sicuramente; ma, anche, il parere di un esperto.

Per quanto riguarda il sistema Italia, il confronto è ancora più sbilanciato a favore di South Stream: la sua costruzione sarà eseguita in primo luogo dalle imprese italiane, che nel settore sono leader mondiali (si pensi che è la Saipem che sta costruendo il tratto del Nord Stream che attraversa il Baltico). Inoltre all’Italia spetterà una fetta più grande di una torta molto più grande di quella che le sarebbe arrivata prendendo parte al progetto Nabucco (60 miliardi di metri cubi/anno contro 30 miliardi di metri cubi/anno).

Quanto agli equilibri politici, South Stream alla fine non deve essere così scabroso se la francese Edf è in procinto di entrarvi (rileverà una fetta del 10-15%, probabilmente dalla quota di capitale detenuta da Eni) e si parla di un ingresso, in tempi più lunghi, della tedesca E.On. Le riserve di Bruxelles, infine, vanno prese con una certa dose di scetticismo: perché South Stream no e Nord Stream sì? Anche il gasdotto che attraversa il Baltico parte dalla Russia, e su Polonia e Ucraina (che infatti hanno protestato) avrà l’effetto di togliere un’arma negoziale molto forte nei rapporti con Mosca, quella, appunto, di poter avere voce in capitolo sulle forniture di metano all’occidente.

Restringendo il discorso alla politica interna, South Stream è un esempio positivo di continuità nelle scelte strategiche nel passaggio da una maggioranza governativa a un’altra. Ricordiamo che la prima firma su quel progetto fu messa, per l’Italia, da Pierluigi Bersani in qualità di ministro dello Sviluppo economico nell’ultimo governo Prodi, nel 2007. L’attuale governo non ha fatto altro che appoggiare Eni nel portarlo avanti.

A pensarci bene, South Stream dovrebbe godere di ampi favori nel paese: non solo è appoggiato dal governo, ma si inquadra bene in tante cose che piacciono alla sinistra: una scelta indipendente dall’America, una fonte d’energia meno inquinante, la possibilità di tariffe domestiche più contenute su riscaldamento ed elettricità, grazie a un’offerta di metano assai accresciuta. No, se scandalo ci sta, nei dispacci “colati” dal Web, non è certo nel South Stream.