L’Italia dà battaglia per riavere le sue opere d’arte ma solo con gli Usa

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L’Italia dà battaglia per riavere le sue opere d’arte ma solo con gli Usa

25 Aprile 2010

L’annuncio della rottura delle trattative con la Ny Carlsberg Glyptotek per la restituzione di uno straordinario corredo funebre appartenuto ad un principe sabino del VII secolo avanti Cristo, trafugato nel 1972 nella necropoli di Colle del Forno a Montelibretti, non lontano da Roma, frena bruscamente l’azione di diplomazia culturale del Governo italiano nei confronti dei musei stranieri che conservano reperti archeologici esportati illecitamente dal nostro Paese.

Dopo i successi ottenuti negli Usa con il Getty Museum di Malibu, il Met di New York e il Boston Museum of Fine Arts, la paziente e meticolosa strategia del Ministero dei beni culturali, fatta di scrupolose indagini e della ricostruzione particolareggiata della fitta trama di rapporti dei mercanti d’arte che negli anni Settanta e Ottanta fungevano da trait d’union fra i tombaroli e le grandi istituzioni museali interessate ad acquisire arte antica senza troppi scrupoli riguardo la loro provenienza, si infrange così sulle asperità della fortezza Europa. I vertici del Ministero hanno mostrato buon viso a cattivo gioco, annunciando che comunque proseguiranno le relazioni con il museo danese. Proprio in questi giorni è infatti in mostra a Copenhagen una preziosa rosetta d’oro etrusca, frutto degli scavi nella necropoli di Spina compiuti negli anni Sessanta da Gustavo Adolfo, reale di Svezia con la passione per l’archeologia. Nessuna rottura dunque delle relazioni museali, come invece era stato prefigurato nei confronti delle istituzioni statunitensi per indurle a firmare gli accordi che tra il 2006 e il 2008 hanno chiuso imbarazzanti contenziosi con lo Stato italiano.

Tuttavia la stampa italiana sembra aver dato molto meno rilievo a questo episodio, e le comunità locali, di solito agguerrite nel richiedere la restituzione anche del più piccolo oggetto improvvidamente giunto nelle teche di un museo USA dopo essere stato illegalmente scavato in Italia, sono insolitamente concilianti. Nel 2006 la Ny Carlsberg Glyptotek ha inaugurato un nuovo allestimento, un percorso dove il carro sabino fa bella mostra di sé nell’ultima sala, ricostruito nelle parti in legno e restaurato nelle lamine bronzee che lo ricoprivano. Alla cerimonia, presenziata dai reali danesi, era presente anche una delegazione della Provincia di Rieti. Non per reclamare il maltolto, ma per affiancarvi in questa speciale occasione un secondo carro fortunosamente scampato alla razzia e rinvenuto nella tomba XXXVI della necropoli. Un atteggiamento ben diverso dalla comunità di Monteleone di Spoleto, che ha animato negli anni scorsi comitati civici e azioni legali, con appelli al Ministro dei beni culturali di turno per attivarsi in ogni sede diplomatica, al fine di ottenere – senza successo – la restituzione del carro etrusco scavato di frodo nella necropoli di Colle del Capitano nel 1902, conservato per un anno nel retrobottega di una farmacia nei pressi di Santa Maria Maggiore a Roma e imbarcato alla volta del MET di New York nel 1903.

Sembra quasi di intravedere nell’opinione pubblica e, di riflesso, nelle amministrazioni interessate un doppio binario nelle vicende di quella che è stata definita a ragione la Grande Razzia del nostro patrimonio archeologico: aperta ostilità o comunque azione decisa nei confronti dei musei statunitensi, remissività nei confronti delle istituzioni europee, decisamente restie ad accettare il fatto di aver acquisito illegalmente antichi reperti in un mercato illegale, una zona grigia in cui i traffici di antichità sono spesso contigui a quelli della droga e del terrorismo – lo dimostra il fatto che Mohammed Atta tentò invano di vendere ad uno studioso tedesco un antico reperto afghano per finanziarsi il corso di volo grazie al quale manovrò uno dei due aerei che colpirono le Torri Gemelle a New York. Il rischio ora è che questa battuta d’arresto possa compromettere le trattative italiane con molti musei in Nord America, Europa ed Estremo Oriente, che assistendo alla mancata applicazione di ritorsioni – come il blocco dei prestiti d’arte da parte dei musei italiani – potrebbero rivedere la propria disponibilità al dialogo con le nostre autorità.

È importante che questa impasse venga superata al più presto, ma un dubbio di fondo rimane. L’accesa mobilitazione contro i musei Usa alla fine si rivelerà essere solo uno dei frutti dell’antiamericanismo di fondo che cova sottotraccia nella nostra società? Oppure il successo ottenuto è la dimostrazione che la cultura liberale e democratica statunitense si dimostra in fondo più aperta ad accettare le ragioni del diritto di quanto si stia dimostrando quella europea?